Darsi del “lei” è diventato troppo formale e darsi del “tu” è una mancanza di rispetto. Cosa fare?
“Non ci si approccia mai a una persona dandole del tu: il primo approccio prevede sempre l’uso del lei”, è così che il Galateo ci informa su come dobbiamo comportarci quando incontriamo persone nuove. Quello che però viviamo quotidianamente, spesso, è diverso: c’è il barista che ci saluta con un “ciao”, la cassiera che chiede se “hai bisogno di altro” e il parrucchiere che chiede se “l’hai sentita l’ultima”. Ai tempi dei nostri nonni non sarebbe stato accettabile entrare in un bar o un negozio e dare del “tu”, e anche quando si incontravano persone del paese, si era soliti dare comunque del “lei”. E oggi?
Mentre Umberto Eco, nella lectio magistralis pubblicata su Repubblica nel 2015, ha sostenuto di fare attenzione a darsi sempre del “tu”, perché si rischia di simulare “una finta familiarità che rischia di trasformarsi in insulto” e di contribuire alla “perdita della memoria” dell’Italia, è di un altro parere la Coop Svizzera. La filosofia delle nuove filiali Coop-to-go è quella di dare del “tu” a tutti. Infatti, sulle targhette dei collaboratori troviamo solo il nome, non il cognome.
Il giornale della Coop ha informato sulla nuova filosofia nella sua ultima edizione, citando il sostituto del gerente della filiale a Zurigo Stadelhofen, Bilal Yonnes: “Mi piace il ‘tu’, rende meno complicato il rapporto con i clienti”. Secondo il 23enne, però, è vero che non tutti apprezzano questa leggerezza: “soprattutto persone over 50 sono più scettiche nei confronti del ‘tu’”, spiega Yonnes.
“Dammi del tu, sennò mi offendo e mi fai sentirevecchio!”
Non ci sono dubbi: il “lei” crea più distanza, mentre il “tu” evidentemente la accorcia. Ma perché abbiamo bisogno di essere più vicini a persone che non conosciamo? Il professor Roberto Pani, psicoanalista a Bologna, a Donna Moderna lo spiega in questo modo: “Direi che è cosi: c’è bisogno soprattutto di un senso di maggiore appartenenza ai gruppi sociali. Ci si vuol sentire meno vecchi e quindi non esclusi, non ci si vuol sentire ‘pensionalizzati’”.
Pani spiega come “un tempo le persone potevano sentirsi offese se non veniva loro dato del lei, perché appariva che venisse loro mancato il rispetto: si dava normalmente del tu a un ragazzo di poco conto, a un fattorino, a un ragazzo di campagna che non conosceva le formalità dell’educazione della classe sociale superiore alla sua. Oggi il classismo è assai diminuito e fa ridere intendere il tu in questo senso”. Questa confidenza avrebbe acquisito altri significati perché si “dà del tu ai colleghi che svolgono la stessa professione come è sempre stato, ma anche a persone che si finge di considerare più giovani.” Inoltre “si dà del tu a colleghi che però appartengono a una posizione professionale superiore, come ad esempio dirigenti, quasi come per ridurre la distanza e per sentirsi degni allo stesso modo”, spiega ancora Pani su Donna Moderna.
Il “lei” segno di rispetto?
Lo psicologo Tim Hagemann sul giornale tedesco Die Welt, ha dichiarato di essere “molto scettico” sugli esperimenti di “inserire il ‘tu’ nelle grandi aziende industriali”. Secondo lo psicologo, l’abolizione di formalità non sarebbe una cosa positiva ma neppure negativa. “La domanda decisiva è quanto sia coerente questa decisione con la cultura dell’impresa”. Hagemann stesso con i suoi studenti universitari continua a utilizzare il lei: “Alla fine, prima o poi, devo esaminare gli studenti. Non sono solo situazioni piacevoli. Semplicemente, si litiga con più rispetto dandosi del lei”.
Di questo non ne è convinto il giornalista della Welt, Uwe Schmitt: “La chiave è il rispetto: il ‘lei’ non lo garantisce, il ‘tu’ non per forza lo mina. La valutazione di come comportarsi è personale”, conclude Schmitt.
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