Il dissidente cinese cieco Chen Guangchen elude la sorveglianza e fugge a Pechino dove si rifugia nell’ambasciata americana, da cui “accetta” di uscire dietro garanzie
La settimana scorsa le illusioni si sono ancora una volta scontrate con la ragion di Stato. Protagonisti della vicenda sono stati la Cina, l’America e un dissidente cinese, l’avvocato Chen Guangchen, non vedente. Si sa che i colossi vengono beffati proprio dai più deboli, e così è stato. Il 29 aprile il dissidente cieco scavalca – evidentemente con l’aiuto di qualcuno – il muro che circonda la sua abitazione-prigione nel lontano e remoto villaggio di Dongshigu e si mette in viaggio per raggiungere Pechino, dove alcuni giorni dopo ci sarebbe stato un vertice tra il Sottosegretario di Stato Hillary Clinton e il Segretario al Tesoro Timohy Geithner e le massime Autorità cinesi. Chen Guangchen non è un dissidente qualsiasi, è colui che ha messo al corrente il mondo intero sulla legge sul figlio unico e la carneficina delle donne incinte di un secondo figlio e costrette all’aborto (ogni anno sono circa 130 mila). Aver rivelato queste notizie è costato al dissidente quattro anni di galera. Nel 2010 è stato messo agli arresti domiciliari, ma sottoposto ad aggressioni fisiche e verbali da parte dei fedeli del regime, a umiliazioni e a minacce nei confronti di sua moglie e suo figlio.
Raggiunta la capitale, Chen Guangchen chiede asilo all’ambasciata Usa, che gli apre le porte e lo accoglie. La notizia si diffonde e naturalmente è panico tra le delegazioni dei due Paesi. Per le Autorità che si stanno incontrando ad alto livello la presenza di Chen Guangchen nell’ambasciata americana diventa un caso diplomatico, una grana di cui liberarsi al più presto e possibilmente senza danni. L’America parla dei diritti umani, ma una cosa è parlarne in tv, magari con la complicità dell’intervistatore, altra cosa è parlarne quando si devono fare accordi proprio con i leader del Paese dove i diritti sono calpestati. Dunque, imbarazzo dei cinesi, i quali mal sopportano che si continui a fare propaganda negativa su di loro e chiedono a Hillary Clinton di risolvere la patata bollente. In fondo, il dissidente aveva trovato rifugio nell’ambasciata americana, non in quella cinese. Hillary Clinton, a sua volta, era imbarazzata perché era a Pechino per una serie di questioni economiche (rivalutazione dello yen e apertura alle esportazioni americane) e invece si trovava a dover sciogliere il nodo di un dissidente nell’ambasciata americana. Proprio non ci voleva. Ovviamente, la soluzione da trovare non poteva né mettere in imbarazzo il governo cinese (che sarebbe passato per calpestatore dei diritti umani), né quello americano, nel senso che quest’ultimo non poteva rischiare di apparire sordo alla questione dei diritti umani.
La diplomazia si mette in moto ed ecco la soluzione magica: Chen Guangchen sarebbe uscito spontaneamente dall’ambasciata americana e in cambio avrebbe ottenuto la liberazione della sua famiglia dagli arresti domiciliari e la possibilità di riprendere gli studi in un’università cinese, con la garanzia. Così è stato o, meglio, così è apparso. Il dissidente, in realtà, ha subito l’accordo, in quanto se non lo avesse fatto la sua famiglia ne avrebbe subito tutte le conseguenze. E’ a questo punto che sono iniziate le danze dell’ipocrisia. Le prime notizie parlavano di un Chen Guangchen che avrebbe voluto “baciare” Hillary Clinton, ma poi la verità è venuta a galla. In un’intervista alla Cnn lo stesso dissidente ha confessato di essere stato “deluso” dagli Stati Uniti e che vuole espatriare con la sua famiglia perché non si sente più al sicuro nel suo Paese (e c’è da credergli, dati i precedenti). I diritti umani sì, ma ogni cosa a suo tempo: è questa l’amara lezione che si ricava dall’atteggiamento americano. D’altra parte, lo scorso febbraio gli Stati Uniti riconsegnarono alle autorità cinesi il braccio destro del leader neomaoista dissidente Bo Xilai. Amaro il giudizio di Yuan Weijing, la moglie di Chen Guangchen, che seppure pronunciato in altra occasione si adatta benissimo anche a questa: “Io non ho commesso nessun reato e sono stata sepolta viva. Mio marito non ha mai commesso nulla di illegale ed è in prigione. In Cina la legge scritta è una cosa, la realtà è un’altra”.