Lo scontro tra sostenitori e contrari è trasversale. Il Ddl Boschi per i primi è un salto di qualità, per i secondi uno stravolgimento totale dei principi della Costituzione
La riforma costituzionale è “buona o brutta”? Il voto referendario sul Ddl Boschi si è caricato di svariati significati che sta coinvolgendo gli schieramenti politici, costituzionalisti e ideologici, in una campagna referendaria di scontro, nella quale la discussione pubblica sugli argomenti e sui contenuti è abbastanza ridotta. Gli schieramenti in vista del referendum sono quasi definiti. Il Pd con Ncd, centristi e l’Ala di Denis Verdini hanno blindato le riforme costituzionali in parlamento. All’interno del Pd, la sinistra di Bersani non ha preso ancora una decisione, la quale potrebbe pesare sul verdetto alle urne. Il fronte del “No” raccoglie tutte le opposizioni al governo Renzi: dal centrodestra con Forza Italia e Lega Nord, al Movimento 5 Stelle, fino a Sinistra Italiana.
Da un lato ci sono i sostenitori con i due portavoce sulle ragioni della riforma costituzionale: la ministra Boschi e il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Secondo le stime del premier, in Italia sono nati circa diecimila comitati per il “Sì”, coordinati dalla Boschi, e il 21 maggio è stato lanciato il Comitato Nazionale “Basta un Sì” con il compito a pubblicizzare i principali punti a sostegno della riforma. Il comitato è stato anche responsabile delle raccolte delle firme, dichiarate valide dalla Corte di Cassazione, che ha dato il via libera al referendum lo scorso 8 agosto. Tocca ora al governo fissare la data della votazione entro 60 giorni (13 ottobre). Le date più probabili sono il 20 o il 27 novembre, ma si potrebbe votare anche domenica 4 dicembre. Dall’altro lato, ancora prima di essere indetto il referendum, il 30 ottobre 2015 si è costituito a Roma il “Comitato per il No nel referendum sulle modifiche alla Costituzione”. All’interno del Pd dieci parlamentari hanno ufficializzato il “No” alla riforma e il 5 settembre l’ex presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, ha lanciato i comitati del centrosinistra per il “No”.
I favorevoli alla riforma della Costituzione vedono nel Ddl Boschi un “salto di qualità” del sistema politico italiano. Dopo le riforme fallite del governo Berlusconi, il referendum sarà un passo cruciale per eliminare procedure legislative lente e costose, che con l’addio al bicameralismo, saranno superate. La riforma implica anche un rapporto di fiducia esclusivo con l’esecutivo, poiché sarà la sola camera dei deputati a votargli la fiducia. Ci saranno anche risparmi notevoli con meno senatori e l’abolizione del Cnel, mentre l’introduzione del referendum propositivo aumenterà la democrazia diretta. Per i contrari la riforma non è legittima, perché prodotta da un parlamento non eletto dal popolo e sotto dettatura del governo Renzi. Il comitato per il “No” dichiara che il superamento del bicameralismo crea confusione e conflitti di competenza tra le varie istituzioni: Stato e regioni, Camera e nuovo Senato. I risparmi al Senato sono stimati solo al 20% e, di fatto, il Ddl ha poca influenza sui costi della politica. La riforma non garantisce la sovranità del popolo, anzi la espropria con la nuova legge elettorale, l’Italicum, che grazie al premio di maggioranza, consegna tutti i poteri a una minoranza. È limitata anche la partecipazione diretta dei cittadini, perché la legge triplica le firme (da 50.000 a 150.000) per l’iniziativa popolare per i disegni di legge.
Il referendum divide i partiti e la sfida è ancora aperta. La campagna referendaria è appena iniziata, ma i sondaggi elettorali hanno dato le prime indicazioni. Le intenzioni di voto tra i cittadini sono in equilibrio, con un leggero margine a favore del “No” e sarà su indecisi e astenuti che l’esito del referendum potrebbe decidersi. Secondo gli esperti una maggiore affluenza alle urne potrebbe favorire il fronte dei favorevoli, mentre una percentuale minore, il fronte delle opposizioni.
Gaetano Scopelliti
foto: Ansa