”A nome mio e di chi crede nella giustizia e nella dignità del nostro popolo, la più ferma e profonda opposizione al decreto-legge n. 36 del 28 marzo 2025, recante disposizioni urgenti in materia di cittadinanza. E lo faccio con il cuore, con la voce e con la coscienza dei milioni di italiani residenti all’estero, e dei milioni di oriundi che da generazioni mantengono vivo l’amore per l’Italia, nonostante la distanza, nonostante l’oblio a cui troppo spesso le istituzioni italiane li condannano. Questo decreto non è una riforma. questo decreto è una ferita. una ferita profonda, dolorosa, ingiusta. Lo è nella forma, lo è nel metodo, lo è nella sostanza. È una ferita inferta con urgenza artificiosa, con il volto burocratico di chi vuole nascondere una scelta politica dietro un presunto pericolo amministrativo. Dove sarebbe, chiedo, l’urgenza? Dov’è la catastrofe che giustifica questa fretta? Forse nel fatto che qualche migliaio di persone l’anno richiede il riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza? Questo decreto non nasce per gestire un’emergenza, ma per costruire una barriera. Una barriera contro chi ha sangue italiano, ma vive altrove. Una barriera contro chi, invece di essere accolto e valorizzato, viene visto come una minaccia. E qui la sostanza è ancora più amara. Perché questo provvedimento, lo diciamolo chiaramente, colpisce in pieno petto il principio dello ius sanguinis. Ne limita la trasmissibilità, ne restringe l’applicabilità retroattiva, lo svuota di significato. Non si tratta di una modernizzazione del diritto: si tratta di un colpo secco, mirato, chirurgico a un principio che ha fondato la coesione dell’identità italiana nel mondo. Sapete chi saranno le vittime? Non i cosiddetti “furbi del passaporto”, come si cerca di raccontare con una retorica pomposa. No, i veri colpiti saranno le famiglie. Saranno i figli e i nipoti di italiani emigrati che, dopo decenni di sacrifici, si vedono improvvisamente dire: “Tu non sei abbastanza italiano per meritare la cittadinanza di tuo nonno”. E questo mentre il mondo intero guarda con ammirazione alle comunità italiane all’estero. Quelle stesse comunità che hanno contribuito con lavoro, cultura e capitale umano alla reputazione dell’Italia. Quelle stesse comunità che mantengono viva la lingua, le tradizioni, le relazioni culturali e commerciali con la nostra nazione. Chi ha scritto questo decreto dimostra di non conoscere, o peggio, di voler cancellare la storia della nostra emigrazione. Una storia fatta di valigie di cartone, di miniere, di fatica e dignità. Una storia fatta di famiglie spezzate, di lettere scritte a mano e di un amore per l’Italia che non si è mai sopito allora io dico con forza: non potete spezzare questo legame. Non potete cancellare l’identità. Non potete negare a chi ha sangue italiano il diritto a sentirsi parte della Repubblica. Abbiamo visto negli anni i risultati di politiche illuminate: il voto all’estero, la rappresentanza parlamentare, l’impegno dell’associazionismo italiano nel mondo, i programmi di formazione, gli scambi culturali. Questo decreto invece compie un balzo all’indietro. Disconosce tutto. È una legge che nega la fiducia, che rifiuta il passato e compromette il futuro. E lo dico con orgoglio istituzionale, ma anche con un’emozione personale: non è tollerabile che due fratelli, figli dello stesso padre italiano emigrato, possano trovarsi in due situazioni diverse solo perché uno ha presentato la domanda il 26 marzo e l’altro il 28. Questo non è diritto: è arbitrio. È iniquità. È crudeltà amministrativa. Ma c’è di più, ed è forse ancora più grave: questa norma rompe il patto tra Stato e cittadino. Il patto che garantisce certezza del diritto, rispetto delle regole, uguaglianza di trattamento. Perché, lo sappiamo tutti, la cittadinanza non è solo un pezzo di carta: è un legame morale, culturale e giuridico. È un’eredità che non può essere amputata per calcolo politico o ideologico. Ecco la verità: questo non è un decreto sulla cittadinanza. È un decreto sull’esclusione. Io difendo un’Italia aperta, giusta, consapevole della sua storia e del suo destino globale. Un’Italia che non ha paura dei suoi figli all’estero, ma li accoglie, li onora, li ascolta perché sono parte di noi, perché senza di loro, l’Italia è più povera. Noi no e continueremo a batterci, dentro e fuori quest’aula, per un’Italia che non taglia i suoi legami, ma li rafforza. per un’Italia che riconosce e abbraccia tutti i suoi figli.” Cosi’ Nicola Carè, deputato eletto all’estero, intervenendo in aula.
Comunicato