Conversazione sui Corsi con l’on. Gianni Farina
Come nascono i corsi?
Nascono grazie ai primi rifugiati politici italiani, per aiutare gli italiani che dovevano far ritorno in Patria; molti di loro tornavano nei loro luoghi d’origine con bambini in età scolastica e quindi necessitavano di una scolarizzazione anche in lingua italiana.
Come sono cambiati?
I corsi sono cambiati poco, hanno ancora la medesima finalità di allora: mantenere un forte legame con la lingua e la cultura italiana. Sono però cambiate le esigenze dei ragazzi.
Perché?
Non li frequentano più in vista di un rientro in Italia, ma per approfondire le proprie abilità linguistiche. Diciamo che aiutano a mantenere e rafforzare in questi ragazzi l’identità italiana accanto a quella svizzera. Ma di questi futuri uomini dalle molte competenze, multiculturali e plurilingui, di questi eccezionali italiani, non ne farà tesoro l’Italia, bensì la Svizzera. Prova ne sia l’entusiasmo con cui gli svizzeri scrivono e discutono dei figli degli emigrati, come li esaltano, li curano, li sostengono, li apprezzano.
La lingua italiana in Svizzera?
Alcuni cantoni di lingua tedesca tolsero non l’italiano ma il francese a vantaggio dell’inglese. Il che vuol dire che anche in Svizzera il multiculturalismo è in pericolo. L’inglese va bene, tutti devono impararlo, ma non a discapito delle altre lingue. Bisogna salvaguardare plurilinguismo, multiculturalismo e interculturalità. Proprio per tale ragione bisogna difendere il principio dell’insegnamento della lingua italiana nelle suole locali.
Allora un modo diverso di vedere i corsi?
No, i Corsi devono continuare a percorrere la loro strada: devono rimanere corsi per madrelingua. Ma c’è un compito storico, anche sul piano sociale e civile per la collettività italiana che rimarrà sempre in Svizzera, a cui nessuno ha mai assolto, che è quello dell’insegnamento della lingua italiana all’interno della scuola svizzera, ovunque sia necessario e richiesto. Direi che dovrebbe essere persino incoraggiato.
Lei pensa a una sorta di doppio binario d’intervento.
Sì, si dovrebbero creare due offerte parallele: i corsi per i madrelingua e corsi all’interno delle scuole pubbliche per stranieri e per gli italiani non di madrelingua. Gli italiani in Svizzera vanno raggiunti in modi diversi. I Corsi riguardano quella piccola fetta di italiani che non hanno abbandonato la loro madrelingua e mantengono un legame forte con l’Italia, non solo linguistico. Poi ci sono gli italiani che col tempo hanno perso questo legame.
Quindi un maggior coinvolgimento delle istituzioni svizzere?
Certamente! E i costi andrebbero divisi. Ma anche l’Italia e le istituzioni culturali dovrebbero fare qualcosa in più per promuovere la nostra cultura in Svizzera, si fa ancora troppo poco.
È storia degli ultimi anni l’idea di certificare le conoscenze, le competenze linguistiche tramite certificazioni.
Quali certificazioni? CELI, PLIDA, CILS?
Sì.
Possono andare benissimo all’interno della scuola dell’obbligo svizzera, per raggiungere quell’utenza che dall’italiano e dalla cultura italiana non viene toccata, bisognerebbe puntare su questo.
E per i Corsi di Lingua e Cultura italiana?
Ma i corsi sono per bambini e ragazzi di madrelingua italiana, che senso avrebbe? Chi frequenta i corsi è ancora legato alla propria madrepatria, anche se un tempo li frequentavano con l’idea di tornare, e al giorno d’oggi per non perdere una delle proprie identità culturali; tanto che il nome rimane attuale: Heimatliche Sprache und Kultur [lingua e cultura del paese d’origine]. Le identità linguistiche e culturali non sono un’unica coperta che tirandola da una parte o dall’altra, può risultare corta, sono più coperte che permeano e ricoprono un individuo, e una non esclude l’altra, o le altre.
Le certificazioni potrebbero servire a giudicare una delle “coperte”?
Ma come si fa a sostenere una cosa del genere? Il Quadro Europeo di riferimento per le conoscenze delle lingue è pensato per giudicare studenti stranieri, chi frequenta i corsi è di madrelingua italiana. L’ho detto prima: i corsi aiutano ad sviluppare quel lato italiano che rende i figli degli italiani all’estero uomini migliori di noi, con più competenze e apertura mentale. Le istituzioni culturali italiane, come gli Istituti Italiani di Cultura o la Dante Alighieri servono a diffondere la cultura e la lingua nel mondo, non a certificare i madrelingua italiani. Per giudicare e scolarizzare questi ultimi c’è già il Ministero degli Affari Esteri con insegnanti qualificati per insegnare ai madrelingua. Se così non fosse il Ministero manderebbe all’estero insegnanti qualificati per l’insegnamento dell’italiano L2 (per non madrelingua).
Ma è anche vero che i ragazzi frequentanti i corsi non conoscono più l’italiano come prima, si potrebbe obiettare.
Questa è una corbelleria, è un’idea sbagliata. Che nasce perché non si distingue fra i ragazzi che frequentano i corsi da quelli che non li frequentano.
In che senso?
I ragazzi italiani che frequentano i corsi oggi si sono più che dimezzati, in alcuni cantoni meno di un terzo dei figli degli italiani li frequentano. Mentre abbiamo i Corsi di lingua e cultura e spagnola ancora pieni, i nostri ragazzi non frequentano più i nostri. Noi dobbiamo recuperare proprio questi giovani che stanno abbandonando o hanno già abbandonato la lingua e la cultura italiana. Quelli che ancora vanno ai Corsi lo parlano bene, con qualche errore nello scritto, certo, ma con gli stessi errori di un bambino italiano in Italia… A quell’età è normale.
Con qualche influenza dialettale, lamentano i puristi.
Spesso, mi creda, con meno influenze dialettali di chi sta in Italia. E in ogni caso il dialetto è una risorsa da recuperare, non da condannare.
Molte volte sono gli stessi genitori a lamentare influenze dialettali, imperfezioni, carenze…
Questo è un errore degli educatori, che non hanno saputo informare i genitori. Non hanno saputo spiegare che le interferenze fra lingue e dialetti sono una ricchezza, e che in età adolescenziale soprattutto, non vanno condannate. A quarant’anni dalla morte di Pasolini non capire la ricchezza del dialetto, e imbastire sulle interferenze fra lingue e dialetti delle operazioni di censura è assurdo. Di questo passo, si dovrebbe fare una certificazione anche in tedesco, visto la predominanza dello svizzero-tedesco.
Quale dovrebbe essere lo spazio degli enti certificatori?
Che senso ha caricare i ragazzi dei corsi di una certificazione per stranieri, quando ci sono migliaia di italiani non più madrelingua che non frequentano i corsi e magari sono convinti di sapere l’italiano? Gli enti certificatori dovrebbe trovare il modo di raggiungere questi ragazzi, non chi un legame con l’Italia ancora ce l’ha. Anche se con contaminazioni dialettali e linguistiche diverse. Contaminazioni sacrosante e non, ripeto, da condannare, altrimenti non si è capito nulla del plurilinguismo e del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue.
Molte volte si condanna l’accento, il mix italiano-svizzero tedesco, piccole imprecisioni, dimenticando che un bilingue primario non può essere giudicato con parametri validi per chi apprende una lingua in età adulta.
E non solo. I figli della gente che incontro sono più plurilingui che bilingui. Non puoi ragionare solo di Svizzera e Italia, ma della culture presenti in Svizzera…. Io rimango ancora oggi sorpreso dalla capacità di un ragazzo italiano di destreggiarsi in più lingue nella stessa situazione; il code switching tanto vituperato in passato e che gli stessi linguisti apprezzano, la facilità che possiedono di passare da una lingua all’altra.
Ci sono ancora molti italiani che pur non frequentando i corsi, rimangono italofoni.
Certamente, ed anche a livelli alti. Ma la questione non riguarda loro, come dicevo prima. Non si può più ragionare di una presenza e di un’identità monolitica degli italiani in Svizzera. C’è chi non è madrelingua e va raggiunto difendendo il principio e la presenza della lingua italiana nella scuola dell’obbligo svizzera. Ma questo non può farlo lo stato italiano, deve esserci la collaborazione delle autorità svizzere. Bisogna distinguere fra Corsi di Lingua e Cultura per italiani di madrelingua e corsi per tutti coloro che vogliono avvicinarsi alla lingua e alla cultura italiana, sia che siano svizzeri, italiani o di altri paesi.
Avere nelle stesse classi ragazzi di madrelingua e non di madrelingua, impedisce inoltre un’offerta formativa efficace.
Un altro aspetto spinoso: come fa un docente in due ore a seguire studenti con esigenze così diverse? Siamo indietro e stiamo rincorrendo male: l’italiano rappresenta ufficialmente solo il 6%, se non si riesce a far capire che gli italofoni sono molti di più, sarà spazzato via dalle scuole con molta più rapidità del francese.
Ufficialmente siamo il 6%, ma in realtà… ?
Mi spiego meglio. Ho partecipato a un convegno a Lugano l’anno scorso, si partiva dicendo: noi abbiamo il 6% dei finanziamenti per difendere la nostra lingua. Mi arrabbiai molto: era un’analisi perdente. La lingua italiana è patrimonio di oltre un milione di persone in questo paese. Persone che a loro volta sono patrimonio di questo paese, anche se non tutti hanno il passaporto svizzero. È da questo numero che bisogna partire per la difesa della lingua e della cultura italiana.
Antonio Ravi Monica