E’ iniziata la causa di beatificazione del sacerdote palermitano freddato dalla mafia perché con le sue opere strappava i bambini all’influenza della criminalità
Quando, negli anni e decenni scorsi, venivano arrestati i boss mafiosi, spesso venivano scoperti in covi con alle pareti immagini di santi, crocifissi e corone. Per la verità, questo vizio dei boss di uccidere e di circondarsi di immagini sacre, non è scomparso, si può assistere allo spettacolo anche ai giorni nostri, che si tratti di mafia siciliana, di ‘ndrangheta calabrese o di camorra. Il messaggio è chiaro: non siamo criminali, siamo gente di fede, pii e santi. Come si sa, il messaggio è un capolavoro di ipocrisia, ma per anni ha fatto qualche presa sulla gente credulona. C’è voluto l’assassinio di don Pino Puglisi prima e le parole sdegnate di Giovanni Paolo II dopo per relegare mafiosi e simili al loro spazio, che è quello, unico, della criminalità e della malvagità. Ognuno ricorda l’invettiva di Giovanni Paolo II rivolta ai mafiosi. “Convertitevi”, gridò allora il Papa, “perché verrà il giorno in cui dovrete rendere conto a Dio”.La sera del 15 settembre del 1993 un sacerdote palermitano, don Pino Puglisi, festeggiò il suo 56esimo compleanno circondato dai volontari del “Centro Padre Nostro”. Finita la festa, poco dopo le ore 20, don Puglisi se ne va a casa. Qui giunto, in piazzale Anita Garibaldi, parcheggia la sua Fiat Uno e si dirige verso il portone d’ingresso del palazzo dove abitava, ma un uomo gli si para davanti e lo blocca con una pistola in mano. Il sacerdote lo riconosce in viso, dice soltanto “me l’aspettavo”, ma poi non ebbe più tempo di dire altro, perché il suo assassino lo fredda a morte. Un vicino di casa, Pippo De Pasquale, lo trova a terra, con le braccia in croce. Gl’inquirenti, esaminando il corpo del sacerdote, trovano che gli manca il borsello o, meglio, il contenuto, ma poi scoprono che era solo un maldestro tentativo di depistaggio. L’assassino voleva far credere che era stato un rapinatore, un drogato, non la mafia.
La polizia segue una pista, che poi si rivela essere quella giusta, e arrestano Salvatore Grigoli, detto il “cacciatore”, il quale non era nemmeno un mafioso in carriera, ma un aspirante mafioso. La “cupola” se ne serve per uccidere la gente e lui esegue, nella speranza di diventare, un giorno, un pezzo grosso.
Salvatore Grigoli, dunque, il giorno dopo l’arresto, vuota il sacco e si pente. Si vede che l’aria della prigione non gli giova. Racconta alla polizia i suoi trascorsi, fa nomi e rivela i mandanti dell’omicidio. In poche parole, le sue rivelazioni fanno condannare altri fiancheggiatori di mafia e in modo particolare i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Alcuni di coloro tirati in causa da Salvatore Grigoli si pentono anche loro a loro volta, e si scopre che Leoluca Bagarella rimproverava i Graviano che tolleravano nel loro territorio i discorsi di don Puglisi, con cui il sacerdote attirava i bambini sottraendoli alla calamita delle organizzazioni mafiose. I Graviano, commissionando l’omicidio a Salvatore Grigoli, da una parte volevano far tacere la voce del sacerdote, dall’altra volevano mostrare a Leoluca Bagarella che loro sapevano governare il territorio.
Abbiamo ricordato questi fatti e la figura di don Puglisi per mostrare che il sangue versato da quest’uomo, che voleva essere solo un buon sacerdote, non è rimasto a seccare sull’asfalto, ma ha portato quei frutti di cui la mafia stessa avrebbe voluto volentieri fare a meno, perché ammazzando un ministro di Dio sconfessava quell’alone di cui i boss arrestati continuavano a circondarsi: l’alone della devozione, anche se della falsa devozione.
L’abbiamo ricordato anche per un fatto di cronaca di questi giorni. Il Prefetto per la congregazione delle cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato, è stato ricevuto dal Papa, il quale ha dato inizio all’iter per la beatificazione di don Puglisi. Ecco la testimonianza dell’arcivescovo di Catanzaro, Vincenzo Bertolone, che sarà il postulatore della causa di beatificazione: “La mafia si è costituita nel tempo l’immagine di una “famiglia” obbediente ai principi cristiani. Al contrario, essa è un corpo estraneo allo spirito di Cristo e della Chiesa. E proprio Puglisi, col suo sacrificio, smaschera l’inganno della mafia sedicente portatrice di religiosità”