L’America profonda ha eretto il suo muro. Il sogno americano ha smarrito il cammino virtuoso
Il sole è sorto ancora in questo freddo mattino romano, dopo una nottata dominata da sentimenti contrastanti: la speranza, frutto dell’ottimismo della ragione e la paura che sta dietro ogni siepe eretta a nascondere i sentimenti cattivi, come nell’imaginario di quello splendido film –“il buio oltre la siepe”- di Robert Mulligan, tratto dal romanzo di Harper Lee nell’America sudista, schiavista e razzista, dei primi anni sessanta.
Fotografo la carta geo-politica degli States, colorata dal blu e dal rosso dei rispettivi candidati: la democratica e il repubblicano.
Impressionante e sconvolgente. Un’immagine che racconta molto più di un editoriale delle grandi firme del New York Times o del Washington Post, rappresentanti di un’ Elite intellettuale e progressista che ha perso ogni capacità di sondare, intuire in primis il cambiamento di un sentire, l’anima popolare delle grandi masse bianche, operaie e contadine, che hanno decretato la sconfitta democratica, riempiendo, in definitiva, il fossato aperto dalla guerra di secessione tra nord e sud di 150 anni or sono..
Il blu del nordest e dell’ovest, sovrastato dal rosso profondo della pancia di quel grande paese.
Per il blu, le sponde delle coste che guardano agli oceani, l’una al mare dal quale giunsero i pionieri dell’impero americano, oltre un mezzo millennio fa, l’altra protesa verso l’immensità del pacifico all’incontro con le civiltà millenarie dell’emisfero ove sorge il sole.
È il colore di chi non ha perso la visione di un mondo globale, da costruire attraverso l’incontro dei diversi, abbandonato da chi ha scelto il rosso delle rocce del Monte Rushmore su cui sono scolpite le figure dei fondatori del sogno secolare della grande l’America.
Hanno scelto le pianure e le grandi montagne, smarrendo la memoria di quei quattro visionari – George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt, Abraham Lincoln – che proprio da lassù, hanno indicato come scrutare l’immensità degli oceani per irradiare il messaggio di libertà e fratellanza universali.
L’America ha sbarrato le porte ai suoi stessi viandanti.
O per usare una metafora, l’aquila imperiale ha chiuso le ali, planando al suolo per non più vivere l’ebbrezza del volo sulle alte montagne del suo universo terreno.
Noi europei, o almeno la parte di noi, profondamente legata ai valori dell’unità e della costruzione politica dell’Unione, temevamo – e ancora di più oggi – Donald Trump, sperando che lo spettro maligno fosse presto solo il ricordo di un brutto sogno.
In realtà, Trump, almeno per quanto riguarda la politica estera, vuole quanto tanta parte dell’Europa populista propone: abbandonare ogni politica di responsabilità collettiva, anche per quanto riguarda gli sconvolgenti processi migratori in atto, oltre al dovere di ripartire i costi di una politica di difesa e sicurezza comune.
Non riesco a vedere alcuna differenza tra l’erezione dei muri dall’invasione straniera a difesa del proprio paese, da parte dell’Ungheria di Orban o dell’Austria- solo due dei tanti fenomeni primitivi in atto in Europa – e la minaccia di Trump, in campagna elettorale, di costruire una linea di confine fortificata tra il Messico e gli Stati Uniti per fermare l’invasione barbarica ispanica.
Le grandi città operaie del nord America, tradizionalmente democratiche, hanno scelto il demagogo che ha promesso loro di riaprire le fabbriche chiuse al seguito della crisi scoppiata dieci anni or sono. Riaprire le fabbriche, rinunciando al proprio ruolo di potenza planetaria, chiudendosi in un isolazionismo che è la negazione della sua storia.
L’Europa, se ciò avverrà, sarà sola.
Sola con i suoi egoismi, le divisioni, le miopie di tanti suoi dirigenti politici e di governo.
Sola, di fronte alle scommesse della storia: gli sconvolgimenti del medio oriente, ove operano le grandi potenze globali, America e Russia, a difesa dei loro interessi economici e strategici, e le nuove realtà regionali, Iran e Turchia, in testa.
Sola a governare esodi biblici di popoli alla ricerca di una nuova terra promessa.
Che piaccia o no, l’Europa, ancora più dopo la Brexit, è di fronte ad un bivio.
Si può sortire in un modo nell’altro, sapendo, tuttavia, che dalla scelta dipenderà il suo avvenire.
O una grande Unione di popoli solidali e uniti, o un destino irrilevante, al peggio, di sottomissione ai futuri potenti della storia.