Donne, donne e ancora donne. Si avvicina l’8 marzo e ovunque se ne parla: la loro emancipazione, le loro capacità, le loro prospettive, le loro opportunità. E, a parlarne, sembra che tutto sia lì lì per cambiare, tanto anomala sembra, oggi, una società che le vede relegate agli ultimi posti di tutte le classifiche riguardanti l’occupazione e la loro attiva partecipazione alla vita politica del Paese in cui vivono.
E invece? Invece restano solo parole. Perché nella realtà dei fatti, poi, le donne vengono ancora discriminate e la loro emancipazione viene frenata da molti pregiudizi. Troppo pochi gli esempi di donne di potere perché si possa affermare che la loro presenza sia il frutto di una nuova cultura che riconosce opportunità e meriti a prescindere dal sesso.
Certo, qualcosa è cambiato rispetto a decenni fa: l’angelo del focolare ha abbandonato quell’angusto ruolo a cui una cultura maschilista l’aveva ingiustamente e frettolosamente relegata ma…Ma il mutamento non è stato radicale, non è stato completo, non è stato sostanziale. E’ stata loro riconosciuta una sfera maggiore di interessi e di occupazioni e la donna lavoratrice è una realtà, per quanto poco diffusa, ormai acquisita dalla nostra cultura.
A supporto di ciò è incontestabile che in certi settori, per esempio nell’insegnamento, nell’educazione o nella salute, il ruolo delle donne sia preponderante, ma questa femminilizzazione del mondo del lavoro, come la chiamano i sociologi, ha rigidi ed invalicabili limiti. Si è “concesso” un allargamento del campo d’azione delle donne ma non si è loro riconosciuto un diritto pieno e completo di partecipazione al mondo politico o sociale né, tanto meno, si è loro concesso di essere protagoniste nel ricostruire, o anche solo modificare, il sistema in cui operano.
Sì, le donne lavorano, fanno anche carriera, ma quasi mai fino al top; la stanza dei bottoni resta loro inaccessibile, il massimo che finora hanno ottenuto è di partecipare al gioco del potere secondo regole scritte da uomini.
Fermando la nostra attenzione sulla presenza femminile in politica siamo infatti costretti, nostro malgrado, a registrare un dato sconfortante: non si va oltre il 15%; e se il dato numerico non basta a render chiara un’anomalia che è d’obbligo denunciare, basti allora pensare che, in Italia, la rappresentanza femminile in politica è minore di quanto non lo sia in Ruanda.
Ruanda! Non un moderno ed avanzato Paese americano, non uno dei grandi Stati europei, ma un piccolo Paese dell’Africa orientale.
Perché? Lungo sarebbe disquisire sulle ragioni storiche, politiche o sociali che hanno portato al crearsi di questo gap femminile in politica, di questa assenza delle donne dalla stanza dei bottoni, per usare un gergo tanto caro agli ambienti del potere con la P maiuscola; dovremmo chiamare in causa diversi fattori, dal maschilismo spesso troppo imperante in certe parti del nostro Paese, alla mancanza di infrastrutture che consentano alle donne di conciliare lavoro e famiglia, passando attraverso i numerosi pregiudizi di cui spesso sono ancora fatte oggetto, attraverso un lungo cammino a ritroso che si perde nel passato, fino a rintracciare la primordiale esclusione della donna dal potere nell’antico mito greco di Antigone, donna ribelle, coraggiosa, idealista, tanto forte da non fermarsi nemmeno davanti a chi deteneva il potere, contestandolo e andando contro i precetti da esso imposti.
Per questo l’eroina greca perse la vita e da qui nacque la “Sindrome di Antigone” che, secondo una nota giornalista spiega e fonda “l’estraneità femminile alla politica e il giudizio negativo nei confronti di norme recepite ingiuste ed incomplete”.
Ma piuttosto che evidenziare le cause, ritengo più utile illustrare i meriti, i pregi, il diverso apporto che una maggiore presenza femminile potrebbe garantire al futuro di tutti noi. Non si esaurisce tutto in una sterile contrapposizione uomo-donna, sia chiaro, ma in una visione diversa di intendere, forse, regole e valori.
Io credo che una possibilità in più a noi donne vada data; io credo che abbiamo il diritto di essere valutate in base ai risultati concreti che dobbiamo avere l’opportunità di raggiungere, per noi e per la nostra società; io credo che la nostra esclusione dalla stanza dei bottoni non debba e non possa poggiare solo sul pregiudizio ma, eventualmente, sulla considerazione dei risultati raggiunti; io non ho la presunzione di dire che noi donne siamo meglio o più capaci degli uomini; credo però che, come ogni uomo, abbiamo il diritto di mostrare ciò di cui siamo capaci sul campo, di dire la nostra opinione e di dare il nostro apporto alla società in cui viviamo; e vogliamo far questo non mettendo i pantaloni e riproponendo un modello prettamente maschilista, ma valorizzando la nostra essenza femminile, la nostra innata flessibilità, ricchezza e risorsa per il nuovo mondo del lavoro, il nostro forte senso di responsabilità e di integrità, valori per i quali, forse per natura, siamo portate a batterci più duramente che certi uomini.
E a quanti, e sono molti dopo i recenti avvenimenti politici, credono che una buona politica per il bene del Paese possa prescindere dal colore di appartenenza politica e poggiare solo su validi ed innovativi principi per la crescita della società, ricordo che, per le stesse ragioni, una buona politica può prescindere anche dal sesso di chi, quei validi ed innovativi principi, li esprime e li persegue.