L’eredità di Monti sotto la lente d’ingrandimento tra speranze e timori
Dopo dieci mesi di governo Monti, i mercati, negli ultimi giorni, sono tornati a crescere – anche se niente in questo campo può dirsi definitivamente acquisito – e lo spread è sceso attestandosi sui 300 punti.
Due sono fondamentalmente i motivi per cui si è arrivati al miglioramento della situazione. Il primo è che anche la Corte Suprema di Karlsruhe ha dato il via alle misure europee salva-Stati (per quanto concernono il consenso tedesco) che prevedono la possibilità per la Banca Centrale Europea (Bce) di acquistare titoli di Stato di un Paese in difficoltà. Il secondo è l’azione dei governi, e in particolare del governo italiano, di procedere ad una serie di misure interne per allungare l’età pensionabile, per combattere l’evasione, per creare investimenti per lo sviluppo, per favorire l’occupazione, per abbattere vincoli burocratici alla creazione di imprese e attività produttive, per tagliare la spesa: in sintesi, per risparmiare, abolire gli sprechi e razionalizzare le risorse. Abbiamo già avuto modo di notare che non tutte le misure vanno nella giusta direzione. Ad esempio, sarà difficile applicare tutte le misure senza un cambio di mentalità (in assenza di controlli e di potere di sanzione, in molti settori della vita pubblica, ospedali, uffici, enti, si agisce come prima). Non solo. Pare che la riforma dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori produca più disoccupati che occupati. Molte delle risorse per la crescita e per le infrastrutture siano solo un balletto di cifre. Ed altro ancora. Però – ed è questo il punto di svolta – per la prima volta è stata affrontata di petto una situazione che non poteva continuare secondo l’andazzo a cui abbiamo assistito negli ultimi quarant’anni.
Certo, se i conti sono stati risanati con le compatibilità europee, se si è dato una sterzata decisa alla nave italiana, lo si è fatto anche ad un prezzo salato. L’azienda Italia è stata sottoposta ad uno scossone di riassestamento, ma gl’italiani, soprattutto la classe media e medio-bassa, sono stati colpiti dalla disoccupazione, passata dall’8,2-3 a oltre il 10%, dalle tasse eccessive che ad una parte impediscono il risparmio, all’altra addirittura di arrivare a tre quarti di mese, con la conseguenza che le rinunce toccano beni di prima necessità e servizi. Le aziende, le piccole e medie imprese, chiudono. Far pagare le tasse a tutti perché ognuno possa pagare di meno sta diventando un impegno necessario ma anche un miraggio. I consumi sono diminuiti, c’è la recessione e contemporaneamente l’inflazione viaggia sul 3%. Insomma, una situazione difficile e pesante, come ha riconosciuto lo stesso Monti quando ha detto che ha “dovuto aggravare la situazione per poterla risanare”
Dunque, una scossa pesante ma necessaria, ma dove porterà? L’interrogativo se l’è posto lui stesso, quando ha auspicato a suo tempo che gli italiani e la classe politica cambino “comportamenti e mentalità”; se l’è posta il capo dello Stato, quando, anche recentemente, ha invitato i partiti a cercare l’accordo sulle riforme, non a privilegiare lo scontro. Addirittura, sia Monti che Napolitano hanno fissato la data del loro impegno diretto. L’uno, Napolitano, ha detto che il suo mandato finirà alla fine di aprile del 2013; l’altro, Monti, ha osservato che il suo incarico era ed sarà a termine (fine marzo-metà aprile 2013). Non solo. Ha stimolato le forze politiche al rinnovamento, facendo notare che non è possibile che un Paese come l’Italia non riesca ad esprimere un leader capace di continuare la sua opera. In verità, non è l’Italia che non è in grado di esprimere un leader capace, ma sono i partiti (e gl’italiani) che non riescono o non vogliono adeguarsi all’Europa. La parola Europa è sulla bocca dei politici, ma non sanno che in Europa la politica più che le polemiche affronta i problemi reali, e che le differenti collocazioni partitiche non impediscono né il dialogo, né i riconoscimenti reciproci, cosa che in Italia non avviene mai nei confronti dell’avversario.
D’Altra parte, chi, come Casini, invoca Monti un giorno sì e l’altro pure, lo fa senza considerare che Monti può dare molto all’Italia e all’Europa ma solo a condizione di guidare i processi e di avere un’ampia maggioranza che lo sostenga lealmente, altrimenti, con la politica delle polemiche, amici ed avversari, per quanto validi, vengono sistematicamente distrutti. Un esempio dei più recenti? Matteo Renzi. Luca Ricolfi, su La Stampa, ha notato il linguaggio nuovo di Renzi: niente ideologia, ma solo cose da fare, e soprattutto uno spirito nuovo nei confronti degli avversari, non demonizzati, ma valorizzati per quello che riescono a rappresentare e ad esprimere. Scrive Ricolfi: “Renzi è indigeribile alla cultura di sinistra di matrice sessantottina, (dove) sopravvive l’idea che la sinistra rappresenti la parte migliore dl Paese e che chi vota a destra possa essere mosso solo dall’interesse o dall’ignoranza. Su questo la rottura è totale e senza incertezze (…) Renzi ha voglia di non parlare male degli altri”. Non per nulla Renzi è stato demonizzato proprio dai suoi colleghi di partito. Ecco perché, alla luce della mentalità e del livello del ceto politico in Italia, aumenta la schiera di coloro che vedono nero il periodo che si aprirà dopo Monti.