A risultati elettorali acquisiti e studiati, si possono fare analisi più realistiche e tracciare prospettive più credibili.
Si è molto enfatizzata la vittoria dei due estremi, da una parte la Lega e dall’altra l’Idv. Che abbiano acquisito voti e che abbiano consolidato e accresciuto il loro elettorato è vero, ma bisogna distinguere.
La Lega ha governato città e province ed ha governato con un consenso sempre maggiore di popolo, l’Idv ha avuto solo una breve parentesi di governo (due anni) con il suo leader, Antonio Di Pietro, in qualità di ministro delle Infrastrutture del governo Prodi, e senza particolari meriti.
Per il resto, la Lega esprime una visione e una politica, per quanto circoscritta ad un territorio definito, il Nord, l’Idv esprime solo arrabbiature ed atteggiamenti giustizialisti, almeno finora.
La Lega ha un futuro politico e programmatico, come diremo più oltre, l’Idv è e resta una spina nel fianco del maggior partito che dovrebbe essere il perno del centrosinistra, con il rischio evidente, in assenza di un cambiamento di rotta, che il Pd venga lentamente ma inesorabilmente eroso fino all’osso. Insomma, mentre la Lega, a nostro avviso, svolge una funzione positiva per l’intera alleanza di centrodestra e per il partito maggioritario, il Pdl, checché ne dicano alcune personalità come Fini e Casini, l’Idv per il Pd era e continua ad essere un problema. Dunque, si aprono prospettive diverse.
Ciò detto, malgrado Bersani abbia sostenuto l’idea che il Pd abbia quasi vinto, non tanto per il 7 a 6, quanto perché al risultato magro del Pd in quanto tale andrebbero aggiunti i voti di altre liste sostenitrici dei candidati, i dati sono impietosi.
Posto che l’astensionismo ha penalizzato tutti, il discorso dei voti a liste “amiche” va fatto per tutti, per cui il Pdl non si è attestato sul 31% ma su circa il 34%, mentre il Pd resta al 27%.
Una differenza del 7%, in un periodo bruttissimo per un Berlusconi dato prima delle elezioni in declino vertiginoso, è tanto, soprattutto se si considera che la Lega nelle regioni del Nord e Centro Nord ha preso più voti dell’Idv, dell’Udc e della sinistra alternativa messi insieme. Aggiungiamo che a nostro avviso il pericolo di una Lega che detta legge nel centrodestra non è reale.
Il centrodestra, anzi, dovrebbe ringraziare la Lega perché questa si rivela un partito forte e con le idee chiare, per quanto alcune non condivisibili, più per i toni che per il merito delle questioni. Ad esempio, la tanto sbandierata Padania è solo un’idea-forza per legare il popolo del Nord, ma i primi a non volere la cosiddetta secessione sono proprio i leghisti.
Certo, bisogna dire che la vittoria nel Lazio e in Piemonte è avvenuta per i decimali, il che vuol dire che se questi decimali in più fossero rimasti a sinistra, oggi probabilmente ci troveremmo con una sinistra ancora più aggressiva e con la bandiera dell’antiberlusconismo agitata in tutte le piazze, con un periodo di instabilità governativa e di delegittimazione di Berlusconi stesso. Probabilmente, tutti i suoi avversari, esterni ed anche interni, si sarebbero coalizzati per logorarlo, se non per abbatterlo con un fuoco di sbarramento.
In realtà, dal punto di vista della forza elettorale, non sarebbe cambiato gran che, ma da quello psicologico sì. La storia, però, non si fa né con i “se” e né con i “ma”, per cui lo scenario è completamente diverso.
Il primo ad accorgersene è stato il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, il quale ha parlato di “serenità” nella fase politica che si è aperta con il dopo elezioni. C’è un clima nuovo, indubbiamente, e la prova è che lo stesso Napolitano ha rinviato alle Camere la legge sull’arbitrato senza che ciò abbia provocato polemiche, con una opposizione silenziosa e con un governo che si è detto pronto ad apportare degli aggiustamenti nel testo, vendendo incontro alle osservazioni del Presidente della Repubblica.
In effetti, mancano ancora tre anni alla legislatura, nel corso dei quali non ci saranno elezioni, per cui il primo a poter lavorare con serenità è il capo del governo, che ha annunciato le riforme: da quella sulla giustizia all’attuazione del federalismo fiscale, da quella istituzionale a quella fiscale.
L’annuncio del premier conteneva un impegno a farle, queste riforme, una volta per tutte, e soprattutto a farle con l’opposizione. Ma ha aggiunto che se l’apertura non verrà raccolta, allora le riforme le farà la maggioranza, anche a rischi di affrontare un referendum abrogativo.
È già successo nel 2006, quando dopo la vittoria di Prodi, il popolo bocciò la riforma istituzionale che tra l’altro conteneva buone cose come la diminuzione dei parlamentari. Se dovesse succedere di nuovo, non è detto che questa volta il popolo dica di no.
In ogni caso, anche all’interno della maggioranza il clima è cambiato: sia nei rapporti interni tra Berlusconi e Fini – il quale esce ridimensionato da queste elezioni che il centrodestra non ha vinto certo per merito suo, anzi – che nei rapporti con l’opposizione, la quale, soprattutto da parte del Pd, farebbe bene a raccogliere la sfida e ad essere propositiva, che è una delle condizioni per poter risalire la china.