Esiste una bozza ma l’accordo sulla legge elettorale ancora non c’è
Tutti, ormai, indicano la data del 29 agosto – quando, cioè, si riunisce la commissione affari costituzionali del Senato – come il termine per l’intesa ufficiale sulla legge elettorale. Il nostro giornale, per quella data, è già stato stampato, non è quindi possibile riferire i termini esatti dell’accordo, né se ci sarà davvero un accordo. La bozza in circolazione contiene una soglia di sbarramento al 5% alla Camera (o dell’8% in almeno tre regioni) e dell’8% al Senato. Per il resto, il testo è aperto, anche se tutti dicono che l’intesa “è vicina, ma non ancora raggiunta”: C’è il premio di maggioranza che il Pd vorrebbe del 15% e alla coalizione, mentre il Pdl lo vorrebbe al 10% (ma non farebbe storie se fosse il 15%) ma al partito che ottiene più voti e non alla coalizione. Poi ci sono le preferenze: le vogliono in tanti nel Pdl, ma non Berlusconi, mentre nel Pd ci sono quelli che le vorrebbero, ma tanti anche che le rifiutano, da Bersani a Franceschini. Il Pd vorrebbe i collegi uninominali, mentre il Pdl le liste, possibilmente bloccate (Berlusconi, ma anche tanti nel Pd). C’è chi, di fronte ai dubbi su un accordo purchessia, ritiene che forse è un bene che l’accordo non ci sia subito, così si evitano le tentazioni di andare alle urne prima del tempo.
Ciò detto – e lo ripetiamo: un ragionamento più preciso e completo potrà esserci solo con la firma dell’accordo – vediamo quali sono gli orientamenti dei due maggiori partiti, dando per scontato (anche se non lo è affatto) che la nuova legge elettorale possa essere approvata nel giro di due mesi. Elezioni anticipate? Anche se in tutti e due gli schieramenti c’è chi pensa ad elezioni anticipate (sono gli scontenti di Pdl e Pd), pensiamo che alla fine prevarrà il senso di responsabilità. Certo, nel Pdl c’è una parte che ha mal digerito l’appoggio al governo Monti e non ha perso occasioni per manifestarlo pubblicamente, motivando il no con il fatto che in una democrazia parlamentare quando una maggioranza non è più tale, si dovrebbe ricorrere al giudizio degli elettori. Nei fatti, però, i voti contrari sono stati pochi. E’ vero che il carico delle tasse è stato eccessivo, ma il sostegno a Monti c’è stato, anche se con qualche mal di pancia.
Anche nel Pd c’è una parte dell’elettorato e dei dirigenti che considera Monti un male necessario, quindi spesso ci sono distinguo sull’operato del governo, per non parlare di distanze più o meno ufficiali sui singoli provvedimenti, ma il Pd si è rassegnato ad arrivare alla fine della legislatura e sta cercando solo di “limitare i danni”, dando atto a Monti degli sforzi che sta facendo, ma precisando che alcuni provvedimenti “non sono quelli che il Pd avrebbe adottato”
Grande coalizione dopo le elezioni? L’ipotesi era stata ventilata da più parti ed ancora non è stata del tutto accantonata, ma Alfano ha detto che il Pdl fa campagna elettorale “per la vittoria, non per il pareggio” e che si attende solo la scelta di Berlusconi, che non ha molta voglia di rituffarsi nell’agone e di sorbirsi gli attacchi a cui è stato sottoposto dal 1994 dagli avversari e dalla magistratura, ma, se lo farà, sarà solo perché i dirigenti del Pdl lo ritengono l’unico che possa unire il centrodestra e per “impegno verso il Paese”. Il Pd è intenzionato a fare le primarie entro l’anno, per la prima volta “primarie vere”, con almeno due candidati, Bersani e Renzi, che si sfideranno per la candidatura a premier, dopo di che, in caso di vittoria, ci dovrà essere una maggioranza e una minoranza politica, ma non una grande coalizione (“Il giorno dopo il mondo dovrà sapere chi governerà in Italia”). Ciò che è certo, anche se negli ultimissimi tempi Bersani ha detto che non esiste l’alleanza con l’Udc, è che quest’ultima, dopo aver presentato liste proprie, entrerà nella maggioranza di governo, che presumibilmente sarà formata da Pd, Ps (partito socialista), Sel (Vendola) e Casini. E’ evidente che per motivi tattici ed elettorali, Casini e Bersani, accortisi che una parte del loro rispettivo elettorato non vede di buon occhio l’alleanza, hanno concordato di smentirla, salvo poi, come ha chiaramente detto Casini, siglarla, appunto, dopo le elezioni.
Infine, l’orientamento dei due principali partiti sulla campagna elettorale. In estrema sintesi, Bersani metterà l’accento sulla “distinzione” da Monti (“agenda Monti e agenda Bersani” o, per dirla con Fioroni, la “non sfiducia a Monti”), il quale potrebbe eventualmente anche ricoprire incarichi di prestigio in un governo di centrosinistra (ministro dell’Economia), ma mai guidarlo, mentre Alfano o Berlusconi puntano sul “completamento di Monti” (dopo il rigore e il taglio alla spesa, un piano per abbattere il debito pubblico e la riduzione della pressione fiscale per rilanciare i consumi e tornare a far “girare l’economia”). Par di capire che se Monti accettasse, Berlusconi lo indicherebbe subito candidato premier.
In realtà Monti non farà parte di nessuno schieramento, al massimo accetterà di essere eletto presidente della Repubblica, incarico che nessuno potrebbe o oserebbe rifiutargli.