Ecco le sentenze della Corte europea dei Diritti dell’Uomo
La Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia a versare 10’400 euro ad Amanda Knox a titolo di risarcimento di danni morali, più 8 mila euro per le spese legali. La sentenza riguarda il caso che vede opposti la cittadina statunitense allo Stato italiano e che concerne la procedura con cui la giustizia è arrivata a condannare la Knox per calunnia. Durante un interrogatorio avvenuto il 6 novembre 2007, la donna ha accusato Patrick Lumumba, cittadino congolese che lavorava all’epoca dei fatti in un bar di Perugia, di aver ucciso Meredith Kercher, studentessa britannica coinquilina della Knox.
L’uomo è stato successivamente assolto e la Knox è stata condannata a tre anni di reclusione per calunnia, ricorda la Corte. La violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che ha portato, tra l’altro, i giudici della Corte europea a condannare l’Italia è di carattere procedurale e non sostanziale: la Corte stabilisce, all’unanimità, che “non c’è alcuna prova che la Knox sia stata soggetta al trattamento inumano e degradante del quale si era lamentata”.
La sentenza della Corte di Strasburgo, che è stata unanime, stabilisce dunque che si è verificata una violazione procedurale, ma non una violazione sostanziale, dell’articolo 3 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo (proibizione della tortura e di trattamenti inumani e degradanti) e una violazione dell’articolo 6 (diritto all’assistenza legale e all’assistenza di un interprete). La violazione dell’articolo 3 è procedurale e non sostanziale: la Corte stabilisce che “non c’è alcuna prova che la Knox sia stata soggetta al trattamento inumano e degradante del quale si era lamentata”.
La violazione procedurale riscontrata riguarda il fatto che la Knox non ha avuto il beneficio di un’indagine approfondita, in grado di appurare i fatti e le responsabilità, in seguito all’accusa da lei formulata di essere stata maltrattata durante l’interrogatorio del 6 novembre 2007, quando era nelle mani delle autorità di polizia.
Malgrado le ripetute richieste, non ci sono state indagini sul supposto trattamento ricevuto dalla cittadina statunitense. Per la Corte, comunque, le autorità italiane non sono state in grado di dimostrare che la restrizione dell’accesso della Knox ad un legale, durante l’interrogatorio del 6 novembre, nel momento in cui era stata formulata un’accusa penale nei suoi confronti, non abbia irreparabilmente danneggiato la correttezza della procedura nel suo insieme.
Per i giudici di Strasburgo, infine, le autorità italiane non hanno valutato la condotta dell’interprete, che “si concepiva come una mediatrice e aveva adottato un atteggiamento materno nei confronti della Knox”, che all’epoca aveva vent’anni e non aveva una sufficiente padronanza dell’italiano, “mentre stava formulando la sua dichiarazione”.
Per la Corte, le autorità italiane avrebbero dovuto indagare per verificare se la condotta dell’interprete fosse stata conforme a quanto previsto dalla Convenzione dei Diritti dell’Uomo e per valutare se il comportamento dell’interprete avesse avuto o meno un impatto sul risultato del processo nei confronti della Knox. Secondo la Corte, quell’iniziale mancanza aveva pertanto avuto “ripercussioni” su altri diritti e aveva “compromesso la correttezza della procedura nel suo insieme”.
Caso Ilva
La Corte Europea per i diritti umani di Strasburgo ha deciso all’unanimità di condannare l’Italia sul caso Ilva per non avere “protetto i cittadini che vivono nelle aree toccate dalle emissioni tossiche emesse dall’impianto” di Taranto. La sentenza emessa oggi evidenzia da parte del nostro paese la violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione.
Adnkronos
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