Dubai World non è la Lehman Brothers. Dopo la grande paura di giovedì 26 novembre, segnata dal crollo più pesante degli ultimi sette mesi delle Borse europee, i mercati sono sembrati fiduciosi sul fatto che la crisi di liquidità, che ha spinto il conglomerato pubblico del Dubai a chiedere una moratoria di sei mesi su un debito di 59 miliardi di dollari, per quanto grave, possa essere digerita senza un effetto-domino che coinvolga tutto il sistema finanziario.
Così le Borse europee sono riuscite a divincolarsi dall’avvio di seduta difficile legato alla caduta delle Borse asiatiche. E anche Wall Street, che ha schivato il terremoto grazie alla festività del “Thanksgiving day”, ha evitato il crollo.
Quanto successo nel Golfo “è contenibile e localizzato” hanno concordato Gordon Brown e Mario Draghi, rispettivamente presidenti del G20 e del Financial Stability Forum. “Dubitiamo che i problemi del Dubai si allarghino ulteriormente” ha scritto il Credit Suisse in un report rilevando che i debiti in valuta estera di Dubai World, al netto delle attività portuali, sono pari a 22 miliardi di dollari: lo 0,05% delle attività delle banche europee e americane messe insieme e il 4% delle loro previsioni di utile.
Una toppa, rilevano gli analisti, potrebbe arrivare da Abu Dhabi, il ricco vicino di casa del Dubai che incassa 50 miliardi di dollari all’anno dalla vendita di petrolio e ha circa 400 miliardi di dollari di asset sparsi per il mondo e il 90% delle risorse petrolifere dell’area. Secondo il Wall Street Journal, il pressing per un suo intervento si sta facendo sempre più forte. Su queste speranze si sono mossi gli investitori europei che hanno acquistato in tutti i comparti e in particolar modo i titoli delle auto, delle materie prime e delle banche.
Anche i titoli delle società che potrebbero risentire dei problemi dell’Emirato, a partire dalle banche inglesi, all’indomani del crollo di Dubai hanno segnato rialzi.
La crisi del Dubai ha però riacceso l’attenzione del mercato sui rischi legati a nuove bolle, spingendo gli investitori a rifugiarsi nel dollaro, rafforzatosi sia sull’euro che sullo yen.
“Quanto successo – ha ammonito Stefan Kolek, strategist di Unicredit – rappresenta una sveglia per gli investitori sul fatto che la crisi non è finita e i rischi incombono ancora”. Non a caso è salito il costo dei credit default swap, gli strumenti finanziari che servono ad assicurarsi contro il rischio di un default, non solo sul debito sovrano degli Stati dell’area, come Abu Dhabi e Qatar, ma anche su quelli di Paesi emergenti come Corea e Malaysia e sui corporate bond.
Intanto, come conseguenza della crisi del Dubai World, Fitch ha tagliato il rating su diverse banche del Paese mentre Moody’s ha mantenuto sotto osservazione quelle dell’Eau più esposte verso la holding a rischio crac.