Il 5 luglio verranno resi pubblici i risultati dell’inchiesta sull’incidente dell’Air France decollato tre anni fa da Rio de Janeiro e diretto a Parigi
Fra tre settimane, esattamente il cinque luglio, il direttore della Bea, l’autorità che sta conducendo l’inchiesta sull’incidente accaduto nella notte tra il 31 maggio e il primo giugno 2009 all’Air France 447 in volo da Rio de Janeiro verso Parigi, darà la sua versione sulle cause del disastro in cui perirono tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio, in tutto 238 persone. Dalle indiscrezioni, non confermate ma nemmeno smentite, viene fuori un’ipotesi (almeno per ora) che potrebbe avere delle somiglianze con l’incidente della Costa Concordia. La superficialità del capitano della nave, Francesco Schettino, non sarebbe tipicamente italiana, ma avrebbe imitatori dappertutto, in questo caso anche oltr’Alpe. Ecco quello che emergerebbe dai dati della scatola nera.
Intanto, le notizie ufficiali e verificabili, in particolare il decollo dell’aereo e ciò che è avvenuto nella cabina di pilotaggio. Quella sera del 31 maggio ai comandi c’erano il capitano Marc Dubois, 58 anni, un veterano, e i suoi due vice, David Robert, 37 anni, e Pierre Cedric Bonin, 32. Un volo di linea, normale. A meno di metà viaggio, il comandante Dubois inserì il pilota automatico e si alzò per il suo turno di riposo per andare in cabina, secondo il programma. Non passò molto tempo che l’aereo incontrò una tempesta che i due vice non evitarono come avevano fatto altri aerei che l’avevano vista segnalata sugli schermi radar. C’è da dire che i due vice erano non dei novellini, ma certamente senza grande esperienza. Le notizie sono che dopo pochi minuti i sensori della velocità smisero di funzionare, il che provocò il disinnesco del pilota automatico e la restituzione ai due vice dei comandi dell’aereo. Le cronache riferiscono che in quel momento ai comandi si trovava Pierre-Cedric Bonin, poco esperto, con appena 2900 ore di volo, il quale entrò subito in crisi: non si era mai trovato in una situazione di emergenza. Bonin alzò il muso dell’aereo ma così facendo provocò anche lo stallo dell’airbus, senza che – e questo è grave – si accorgesse dello stallo. In poche parole, sia Bonin che Robert non sapevano cosa fare, per cui chiamarono il comandante perché tornasse a riprendere i comandi.
E’ a questo punto che l’incidente entrò nella sua fase molto critica. Il comandante tardò a tornare ai comandi più di un minuto e quando arrivò – e qui fanno fede le conversazioni intercorse tra di loro e registrate sulla scatola nera – chiese a Bonin cosa stesse succedendo. Il vice rispose che non lo sapeva, che c’era un problema. In quel momento l’aereo continuava ad essere in fase di stallo e precipitava pancia in giù alla velocità di 180 km all’ora. Ai passeggeri era stato detto di allacciare le cinture di sicurezza. Un minuto prima dell’impatto con l’acqua nessuno dei piloti era riuscito a bloccare la caduta e a recuperare il controllo del mezzo. L’aereo, infatti, si schiantò sull’acqua con la pancia e successe il finimondo: morirono tutti.
Ed ora torniamo al presente. Anche se le indiscrezioni vengono smentite, l’ipotesi è che il comandante Dubois nella sua cabina si trovasse con la sua amante, Véronique Gaignard, con la quale era andato a Rio. Si spiega così il ritardo con cui era tornato nella cabina di pilotaggio dopo essere stato chiamato dai due vice. L’ipotesi, in realtà, è più che un’ipotesi, anche se il direttore della Bea minimizza dicendo che non s’indaga sulla vita privata di Dubois, ma sulle cause che hanno provocato l’incidente. E’ probabile, però, che se il comandante fosse tornato subito, avrebbe potuto rimettere l’aereo sulla sua traiettoria. Marc Dubois come Schettino, dunque, o, per meglio dire, Schettino come Dubois: la superficialità, quando si tratta di aerei o di navi (e non solo) non è quasi mai senza gravi conseguenze.