Intervista a Lucio Dalla e Francesco De Gregori in tour con “Work in progress” che li vede riuniti dopo 30 anni. Ecco cosa ci raccontano…
Come è stato, e com’è tutt’oggi, ritornare sul palco assieme dopo ben 30 anni dal primo esperimento con Banana Republic?
D.: Orribile! No, bellissimo. Bisogna pensare che una sinergia strana, perché siamo diversi in tutto, ci accomuna musicalmente. Ci sono delle cose che si integrano: quello che manca a me non manca a lui. Non si tratta di un bisogno di ritrovarsi, perché stavamo bene anche prima, sentiamo invece che questa è una cosa nuova, buona per noi.
De G.: C’è anche da dire che i nostri migliori successi sono arrivati subito dopo l’esperienza di Banana Republic, così come la maggior parte dei nostri dischi più venduti.
D.: Questa nostra unione è nata come sintesi di tutto quello che abbiamo fatto, escluso Banana Republic di cui non abbiamo inserito neanche una canzone.
De G.: Questo nuovo tour non ha nulla a che vedere con Banana Republic. Noi lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo, nonostante Banana Republic, senza ripeterci. Anzi, quando abbiamo iniziato a fare le prove per “Work in progress”, ci siamo posti il problema se citare o meno qualche brano di allora e abbiamo provato a risuonare “Ma dove vanno i marinai”, che era il singolo di Banana Republic, ma non ci veniva più, non eravamo più capaci. Come mettersi un vestito di 30 anni prima. Era passato il momento, eravamo cambiati noi due come musicisti e questa è la prova che quello che siamo adesso, e che facciamo adesso, è inevitabilmente tutta un’altra roba.
Cosa c’è di diverso da allora e cosa invece è rimasto intatto?
De G.: Di allora è rimasto il nostro talento, la nostra disponibilità, generosità a darci in pasto al pubblico, la nostra, per quanto modesta, intelligenza nel prendere in mano uno strumento o una penna quando scriviamo un testo, quello c’era allora e c’è adesso, ma tutto il resto non c’è più.
D.: Considerando poi una cosa, e posso dirlo da critico, che anche il talento è aumentato molto.
Nessuna difficoltà a ritrovarvi, siete entrati subito in sintonia?
D.: Sì subito, e questa è un’altra grande differenza con Banana Republic, perché mentre allora ognuno cantava le proprie canzoni, adesso invece ognuno canta quelle dell’altro, quindi una novità assoluta. Questo ci fa cambiare anche modo di concepire e di cantare le nostre canzoni dopo che abbiamo sentito l’altro cantare. La nostra non è un’unione forzata, in 30 anni ci saremmo visti 3 volte al massimo, e la nostra musica si integra perfettamente.
De G.: Personalmente quando abbiamo fatto Banana Republic io ero in grado di cantare solo le mie canzoni, non pensavo nemmeno di cantare le canzoni degli altri, mi sentivo proprio un cantautore, nel senso che scrivevo e cantavo quello che scrivevo. Da questo punto di vista io sono cambiato. Lucio scrive una musica molto diversa dalla mia ma che assolutamente si adatta alla mia vocalità e questo è stimolante. 30 anni fa non era così, ma allora avevo appena cominciato ed ero un cantante per caso.
Quale brano di Dalla vorrebbe aver fatto De Gregori e viceversa, e perché?
D.: Escludendo il confronto con le mie, secondo me quelle di Francesco sono le canzoni più belle mai scritte in 30 anni e non lo dico da fan ma da esperto di musica. Per questo ci sono canzoni come “Santa Lucia”, “La Leva calcistica”, “La donna cannone” che avrei desiderato aver scritte io. Uno dei motivi per cui sono contento di fare questo tour è perché finalmente (e me la tiro un po’) si torna a sentire musica e parole messe insieme.
De G.: Nel corso della tournée ho cambiato molto il mio punto di vista. All’inizio ero attratto soprattutto dalle canzoni che somigliavano di più al mio modo di scrivere, “Come è profondo il mare” ad esempio, soprattutto per la liricità del testo, per la musica apparentemente ripetitiva, come una ballata. Adesso, invece, le canzoni che amo di più sono quelle di Lucio più diverse dalle mie: ”Balla balla ballerino” è un pezzo che io non potrei mai scrivere perché lontano dal mio modo di concepire una canzone ma mi diverte molto cantarla, e così anche “Disperato erotico stomp”. Lucio dice che sono un uomo alieno dal dire le parolacce, e questa è una canzone molto esplicita di cui mi sono riservato nel canto proprio le frasi più osé perché mi piace invadere me stesso in questo senso. Direi però che non c’è nessuna canzone in particolare, ho preso tutto il pacchetto insieme e mi piace tutto.
Qual è il bello per Dalla di lavorare con De Gregori e viceversa?
D.: Il bello con Francesco è la possibilità di dare un senso di integrità a due mondi diversi in cui viene fuori un tutt’uno con la band e con la parte poetica e teatrale di Marco Alemanno che, oltre ad essere il produttore del mio ultimo disco e oltre a far parte del coro, fa un monologo, durante il concerto, portando anche il teatro in questo tour. Quindi, per la sua completezza, questo concerto ha qualcosa che non hanno gli altri. Noi in questo ci siamo trovati: facciamo grande musica ma anche grande teatro, e il gioco che c’è tra di noi, lui così fatto male, alto, altissimo, ed io così perfettamente piccolo, ci porta a qualcosa che la gente desidera, come il gioco di entrare ognuno nella canzoni dell’altro: ecco il motivo successo di questo tour, l’incontro di due mondi musicali che sono ancora vivi.
De G.: Per me la risposta è banale, è il bello di lavorare con un artista vero. Non potrei condividere così a lungo il palcoscenico con nessun altro.
Ci spiegate meglio la scelta di inserire il pezzo teatrale nel vostro concerto a cui si è accennato prima?
D.: È stata un’idea di Francesco. Marco, oltre a lavorare con me, è un attore vero.
De G.: Volevamo fare qualcosa che non fosse solo un concerto e inserire qualcosa di altre discipline, di altre arti, e abbiamo chiesto a Mimmo Paladino, uno dei più grandi artisti contemporanei, di farci la scenografia. Marco recita il 21° canto de “La fine del Titanic” di Hans Magnus Enzensberger. Volevamo far vedere che la canzone, quello per cui io e Lucio siamo nati, può essere l’ombelico di altre forme d’espressione artistiche. Il pubblico ha dimostrato di capire ed apprezzare questa nostra scommessa.
D.: Sì, il pubblico apprezza questa nuova formula e ama sorprendersi con novità di questo genere tanto che siamo già quasi al centesimo concerto quando ne erano previsti al massimo 15.
De G.: Anche in Svizzera abbiamo un bel numero di concerti e questo ci riempie di gioia e di orgoglio.
Come accennato prima, da questo tour sono nati alcuni inediti: come?
D.:Uno degli inediti di maggiore successo è stato “Solo un gigolo”, una riedizione. Il testo è stato concepito addirittura per telefono: eravamo distanti, io ho fatto la prima parte e lui la seconda parte! È stato veramente un gioco. “Non basta saper cantare” l’ha scritta Francesco, rimasi talmente sbalordito quando la sentii, il primo giorno di prove, che feci subito l’arrangiamento.
De G.: Sì ma sua, mia, alla fine conta veramente poco. Vedo che la gente quando entra si pone il problema di chi ha scritto cosa, ma quando esce non lo sa più e questo sarebbe il senso del concerto: escono e sentono delle belle canzoni come se le avessimo scritte insieme.
Vi rivedremo assieme tra altri 30 anni o ci farete aspettare un po’ meno questa volta?
De G.: Speriamo tra altri tre anni.
Eveline Bentivegna