Il regime di Assad è dato per crollato ma continua a reggere malgrado attentati e fughe, ultima quella dell’ex premier, Riad Hijab
In Siria il regime di Assad sembra essere al collasso, ma chiunque vincerà, si troverà di fronte ad un mucchio di macerie, con il rischio che la mattanza continui per mesi e mesi dopo la fine formale delle ostilità. Il 18 luglio in un attentato dove sono morti ministri ed esponenti del regime e feriti gravemente altri personaggi chiave come il fratello minore di Assad, Maher, le opposizioni hanno fatto un salto di qualità nella lotta contro il regime, ma la risposta è stata altrettanto dura, con l’impiego di carri armati, elicotteri ed aerei. Aleppo, città simbolo della rivolta, è uno scontro continuo tra soldati fedeli al regime e ribelli, spesso accerchiati e accerchiatori a turno. Comunque è guerra aperta dappertutto, e non si sa bene chi è più feroce dell’altro nella violenza, se i fedeli al regime o i ribelli.
A fine luglio il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è diviso tra chi, come Hillary Clinton, voleva una nuova risoluzione per intervenire in qualche modo nel conflitto e chi, come la Russia e la Cina, hanno ribadito il loro no con il veto. Nessun intervento esterno, ma si sa che le armi provengono in quantità abbondante all’una e all’altra parte attraverso canali nascosti: ai ribelli dagli Usa e dalla Francia e al regime dalla Russia e dall’Iran, quest’ultimo schierato a favore di Assad, tanto che se salta il regime di Assad con un intervento esterno l’Iran potrebbe anche intervenire a suo favore in maniera aperta e ufficiale, con conseguenze imprevedibili, perché un effetto domino sarebbe difficile da controllare. E’ del 6 agosto la fuga dell’ormai ex premier, Riad Hijab, in Giordania. E’ finora il più importante, internazionalmente parlando, leader fino ad allora fedele ad Assad che lo abbia abbandonato. L’ex premier, alcuni giorni dopo, ha rilasciato un’intervista in cui si rivolgeva direttamente ai ribelli per spronarli a persistere nella lotta ad un regime “crudele e spietato”. E’ una sorta di dichiarazione di adesione per farsi accettare e farsi perdonare il suo passato di leale alleato di Assad. Riad Hijab è un sunnita ed avrà fatto i suoi calcoli. Ecco le sue dichiarazioni: “Il regime non controlla ormai più del trenta per cento del suolo siriano. Sulla base della mia esperienza, posso assicurare che è collassato moralmente, economicamente e dal punto di vista militare. E’ ora che l’esercito cessi di sparare sulla nostra popolazione, come a suo tempo fecero i militari in Tunisia e in Egitto, e passi invece dalla parte delle forze della libertà. Ho deciso di andarmene dopo aver perduto ogni speranza che questi leader corrotti e brutali siano mai capaci di cambiare”. Il suo, dunque, sarebbe un atto di incitamento ai ribelli a vincere e nello stesso tempo un invito ai soldati e ai loro capi militari ad abbandonare Assad. A giudicare dalla sua faccia, comunque, a noi pare che il suo gesto sia più dettato dal volersi assicurare un posto nel futuro governo post Assad che una manifestazione di spirito democratico e pacifico.
Il guaio, al punto in cui è precipitata la situazione, è che un regime Assad per il futuro è improponibile e nello stesso tempo un governo con la variegata opposizione sarebbe nefasto. Perché? Perché dall’Europa e dall’Africa sono convenuti in Siria eserciti di fondamentalisti arabi e terroristi interessati a seminare odi e sangue e ad approfittare del caos per sostituire un regime crudele come quello di Assad con un altro forse ancora più crudele che persegue la Sharia, la legge islamica di tipo fondamentalista, anche se i capi dell’esercito di liberazione si sforzano di dire che le vendette sono opera di bande isolate.
Giornalisti britannici hanno documentato non solo le violenze dei soldati contro gl’insorti, ma anche quelle degli insorti contro i soldati o contro civili, in particolare contro giornalisti della tv siriana, sequestrati, minacciati e poi uccisi. Sul territorio siriano operano gruppi di Al Qaeda che operano per l’instaurazione della Sharia in Siria. Uno di questi, John Cantlie, ha raccontato le vicende in cui hanno perso la vita i suoi compagni uccisi, appunto, dai qaedisti accorsi da ogni parte in Siria. Ha raccontato che lui e la guida erano stati fatti prigionieri con la prospettiva della morte ad opera di gente che parlava perfettamente inglese e che avevano lavorato nel supermercato del quartiere dove lui, il giornalista, abitava. Si è salvato solo perché la guida è riuscita a fuggire e a dare l’allarme presso gruppi di ribelli che stavano nella zona.
La comunità internazionale preme sulla Russia per sbloccare la situazione lasciando al suo destino Assad. Addirittura, una fonte dell’esercito libero aveva assicurato che il vice ministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, aveva preannunciato le dimissioni di Assad, ma lo stesso vice ministro aveva smentito completamente la notizia. Insomma, nelle ultime settimane la situazione è precipitata, ma per ora a parlare è solo il sangue versato tra e sotto le macerie.