Direttamente dal Festival di Sanremo, il cantautore e compositore Ermal Meta si è raccontato a Leo Caruso e Bruno Indelicato di Radio Lora Italiana
“Umano” è il titolo del tuo ultimo album. In un’intervista hai affermato che però non ami i generi, cosa intendevi con questo?
Intendevo che non mi piace costringere le canzoni che scrivo all’interno di percorsi musicali prestabiliti, quelli definiti ‘generi’.
Io nel momento in cui scrivo un pezzo aspetto che venga fuori e cresca da sé. In qualche modo lascio scegliere alla musica la direzione che vuole prendere. Ecco perché ci sono nove tracce completamente diverse una dall’altra.
Nel brano che titola l’album dici “stanco di chi cambia faccia come il vento, stanco di chi vince senza aver talento” e ovviamente parli dei giorni nostri, ti riferisci all’attualità?
Assolutamente sì. È una storia del tutto italiana, se vogliamo, ma non solo. La modernità è fatta un po’ di tutto questo, ma più che altro è un percorrere un po’ all’indietro tutto il lato sociale italiano, del tutto condito con vari nepotismi, facilitazioni e amicizie. Ecco, io non sono amico di nessuno da questo punto di vista, preferisco farcela da solo.
A Sanremo ti sei presentato con una canzone tua ma sei autore anche di altre canzoni di altri artisti, dove ti senti più a tuo agio? Ti senti più autore o interprete delle tue canzoni…
Mi sento a mio agio in entrambe le versioni, perché comunque sono entrambi cose che mi vengono naturalmente. Nel momento in cui mi viene naturale non posso non sentirmi a mio agio, è come chiedere a un calciatore se si trova a suo agio a palleggiare più con la sinistra o più con la destra, se sa fare entrambe le cose allora è normale.
Parliamo di “Lettera a mio padre”, in questo pezzo affermi che “è un cognome da portare, solo questo sarai e mai più mi vedrai” è un testo abbastanza duro…
Sì, è una canzone molto sentita come anche tutte le altre. Non amo molto da parlare di questa canzone, ho già fatto molta fatica a scriverla.
Puoi parlarci invece di “Odio le favole”? La domanda che ti hanno fatto ripetutamente è il perché di questo titolo…
È molto semplice, in realtà è una metafora, non odio veramente le favole.
È una metafora che non fa altro che esprimere la mia passione per tutto quello che è reale, per ciò che è vero, perché la vita vera riesce sempre a sorprenderti in un milione di modi diversi. Quindi mi sento molto più legato a tutto ciò che ogni giorno accade, a tutto ciò che significa sentire il tempo che scorre.
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