Così un gruppo di donne riesce ad impedire lo scoppio di un’inutile guerra. nadine labaki, al suo secondo successo cinematografico, affronta il tema scottante dell’integralismo religioso a suon di risate. il film sarà visibile nelle sale svizzere a partire dal 22 marzo
Secondo successo per la regista libanese Nadine Labaki che dopo “Caramel” ci regala un altro film di indubbia qualità, “E ora dove andiamo?”, con cui ha confermato il suo talento di regista, ma anche di attrice. Infatti Nadine Labaki, come era successo per il suo film d’esordio, non solo ci offre una regia impeccabile e di talento, ma anche un’ottima interpretazione nei panni della protagonista della pellicola. La trama racconta di un gruppo di donne coraggiose: Takla, Amale, Yvonne, Afaf e Saydeh che affrontano stoicamente il caldo soffocante di mezzogiorno, reggendo le fotografie dei loro amati uomini, perduti in una guerra futile, lunga e lontana. Avanzano sul bordo di una strada dissestata, in una sorta di processione verso il cimitero del villaggio. Alcune di loro portano un velo, altre indossano croci di legno, ma tutte sono vestite di nero, unite da una sofferenza condivisa. Giunta alle porte del cimitero, la processione si divide in due congregazioni: musulmani da una parte e cristiani dall’altra. Unite da una causa comune, l’impensabile amicizia tra queste donne supera, contro ogni aspettativa, tutti i punti di contrasto religiosi che creano scompiglio nella loro società e, insieme, grazie alla loro straordinaria inventiva, mettono in atto dei piani esilaranti cercando di distrarre gli uomini del villaggio, in modo da allentare la tensione interreligiosa. Presentato lo scorso maggio sulla Croisette, nella sezione “Un Certain Regard”, e vincitore al Festival di Toronto del premio del pubblico,”Et maintenant, on va où?”, come recita il titolo originale, sbarca ora nei cinema svizzeri dopo aver raccolto applausi in giro per il mondo. Il tema è quello attuale dell’integralismo religioso guardato però con gli occhi della regista, dal punto di vista prettamente femminile, di quelle donne che, per paura di dover fare i conti con il probabile scoppio di una guerra che le costringerà a dover seppellire i loro cari, si coalizzano cercando di trovare ogni stratagemma per distrarre gli uomini ed evitare una nuova guerra interna. Sono le donne cristiane e musulmane unite nella volontà di difendere i propri amati, le stesse, dell’età più svariate, che, nella scena iniziale del film, vestite di nero ballano all’unisono una Danse funebre scritta dal marito di Nadine, Khaled Mouzanar, -che dopo “Caramel” rinnova la collaborazione musicale con la moglie -con velo al capo, chi con croce o fiori in mano, quasi tutte con la foto di un uomo defunto, si battono una mano sul petto, a dimostrazione del dolore che provano. È sicuramente un tema importante a cui però la regista riesce ad accostarsi in maniera delicata con humor e quel tatto straordinariamente femminile che ormai contraddistingue il suo cinema.
Spaziando dal musical al drama, riesce a creare non un film sulla guerra bensì un film su come evitare che scoppino le guerre, grazie a figure femminili come Amale, Takla, Yvonne, Afaf e Saydeh, costrette a fermare l’odio e l’intolleranza dei propri mariti, figli, padri e zii, accecati dall’integralismo religioso che da anni incendia il Medio Oriente. Nonostante la gravità dell’argomento la regista riesce così a strappare risate e a guardare tutto con umorismo riuscendo in questo modo a stemperare la tensione: “La risata e l’umorismo servono per affrontare una realtà come la nostra, questi conflitti sono così assurdi che non puoi fare a meno di prenderli in questo modo: ridere serve anche ad avviare un processo di guarigione, ad imparare dai nostri errori. Conosco tante donne che hanno perso i loro cari, che sono a lutto eppure continuano a mantenere il senso dell’umorismo, ad andare avanti col sorriso: dobbiamo imparare da loro” spiega Nadine Labaki in un’intervista.