Due fronti nel Pd: quello interno vede la sfida tra il sindaco di Firenze e Bersani la candidatura a premier e quello esterno che vede l’Idv e Sel contro Casini
Scoppiò prima il caso Lusi, senatore Pd importato dalla Margherita che ha fatto man bassa di decine di milioni di rimborsi elettorali della Margherita, poi quello di Belsito, tesoriere della Lega, che trafficava in rimborsi milionari, recentemente quello di Fiorito, ex capogruppo Pdl alla regione Lazio, che non avrà (mal) gestito i milioni di Lusi e Belsito, ma ha pur sempre intascato e pagato su presentazione di fatture fasulle, al punto che si capisce perché in Italia si parla di tagli e poi non si taglia mai nulla. Insomma, più passa il tempo e più la gestione delle risorse dello Stato da parte dei partiti (in ogni regione solo la mancanza dei controlli fa sembrare tutto in ordine) è più avvilente di quanto si possa immaginare. Ma procediamo con la politica – o con quello che lontanamente le somiglia – per mettere a fuoco i due fronti che da qualche tempo si sono aperti nel Pd, il fronte interno e quello esterno.
Il fronte interno è la disfida tra il “rottamatore” Matteo Renzi e il leader del Pd, Pierluigi Bersani, il quale, per non sembrare un “dinosauro”, ha formato un comitato elettorale di giovanotti e di belle donne, che una volta venivano chiamati “rampanti”. La lotta è aperta, anche se l’uno, Bersani, ostenta quella sicurezza che s’intuisce artefatta, l’altro, Renzi, non sembra entrare nel ruolo del leader di un partito e in quello di un’intera coalizione. Il dato è però netto: sembra che Renzi sia in vantaggio su Bersani. Una simile prospettiva scombussolerebbe radicalmente le coordinate del Pd, perché diventerebbe un leader senza apparato, quasi tutto schierato con Bersani, e un leader importato dai popolari che sono minoritari nel Pd. Insomma, una vera rivoluzione che finirebbe sicuramente per cambiare totalmente il volto dello stesso Pd, ammesso che l’eventuale vittoria di Renzi possa essere accettata dall’apparato. Sarebbe ben possibile che finirebbe per non essere digerita e che l’evento potrebbe portare alla scissione. In ogni caso, Renzi rappresenterebbe la novità politica di questo secondo decennio del 2000.
L’altro fronte è quello esterno e gira e rigira si torna sempre sulla stessa foto: quella di Vasto. Se vincesse Renzi, la foto sarebbe destinata al macero, ma siccome questo evento non è ancora attuale, semmai lo sarà, torniamo alla leadership di oggi, quella di Bersani, e agli sviluppi di quella che era già data per acquisita: Bersani e Vendola alleati e l’Udc di corsa a puntellare la maggioranza in un secondo momento, solo all’indomani delle elezioni, in modo che da sola avrebbe potuto raccogliere qualche voto in più da portare in dote al “nuovo” centrosinistra. Ebbene, questa foto (Casini al posto di Di Pietro) sembra molto fragile, perché da una parte Vendola si sta riavvicinando a Di Pietro, perché “è questa la nostra gente”, dall’altra tutti e due danno un giudizio pessimo di Casini. Ha detto Di Pietro: “Se ora la foto di Vasto viene scattata con Casini e senza l’Idv, è una foto di atti impuri”. Di Pietro e Vendola stanno rinsaldando la loro alleanza e pongono quattro condizioni a Bersani: “Se rompe con il liberismo l’austerità, se capovolge l’agenda Monti, se dice che paga la rendita finanziaria e non il lavoro, s assomiglia a Hollande piuttosto che alla Troika europea”.
Ecco cosa pensano di Casini il duo Di Pietro-Vendola. Dice il primo: “Lo sa Bersani che sull’articolo 18 Casini vuole il contrario di quello che chiediamo noi?”. E il secondo: “Via la legge Biagi… e poi bisogna tagliare i ponti con chi ci vuole dire come ci dobbiamo sposare, come dobbiamo fare figli e come dobbiamo morire. Casini è l’espressione classica del conservatorismo italiano”. Casini sembra essere più l’alleato di Bersani che quello di Di Pietro e di Vendola, i quali del leader dell’Udc non vogliono sentir parlare e anzi vogliono porre condizioni allo stesso Bersani.
Se a destra c’è il vuoto spinto in procinto di emettere un soffio sordo, a sinistra ci si combatte a vicenda rivelando programmi che sono antitetici, nella più pura tradizione dell’Ulivo e dell’Unione e nella più collaudata tradizione italiana, nel solco della quale si muove pure il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo. Dopo la sfuriata alle elezioni amministrative della primavera scorsa e la conquista di qualche comune di media importanza, più che altro simbolica, il Movimento sembra si sia arenato nello sport più classico della mentalità italiana: il litigio, le espulsioni, l’intolleranza, le lotte intestine a chi è più puro dell’altro, senza rendersi conto che tra la protesta e la proposta la differenza è nettissima se non si hanno idee concrete e valide.
L’altro grande assente nel dibattito politico è la Lega, passata da Bossi a Maroni con una grossa cura dimagrante in termini di voti. La Lega deve fare dimenticare la cattiva gestione finanziaria dei rimborsi elettorali e il rampantismo degli eredi di Bossi, ma, messo da parte il vecchio leone Bossi, Maroni ha deciso di privilegiare il Nord come campo di iniziative politiche e legislative. Di qui, l’assenza pressoché completa dalla scena politica nazionale, e la cura del territorio settentrionale italiano, nella speranza o nella convinzione che circoscrivendo al Nord la politica della Lega, i consensi torneranno a salire.