Ancora lontani dall’azzeramento del numero di persone contagiate
È passato un po’ più di un anno da quando l’Oms ha ufficialmente dichiarato l’insorgenza di ebola in Guinea, allora la malattia aveva già eliminato dozzine di vite e stava per espandersi nei paesi vicini e nei mesi seguenti ha causato la morte di più di 10’000 persone e contagiato più di 23’700 persone.
“Numeri atroci che oggi potrebbero essere diversi se trattamento e prevenzione della malattia, ugualmente necessarie, fossero procedute di pari passo allo scoppio dei primi casi di Ebola, 12 mesi fa”. Lo ha affermato alla fine di marzo l’organizzazione umanitaria Oxfam, secondo cui “dallo scoppio dell’epidemia in Africa occidentale un approccio quasi esclusivamente sanitario ha ostacolato i progressi che avrebbero permesso di prevenire prima e meglio l’estensione del contagio tra la popolazione”. Con il risultato che “siamo ancora lontani dall’obiettivo per cui tutti stiamo lavorando, ossia l’azzeramento del numero delle persone contagiate”, avverte Sue Turrell, responsabile della risposta umanitaria di Oxfam per l’emergenza Ebola.
Per l’associazione “governi e altri enti internazionali, inclusa la stessa Oxfam, hanno avuto un approccio sbagliato nelle prime fasi di risposta all’epidemia, mentre avrebbero dovuto impegnarsi di più nel coinvolgere da subito la popolazione sulle misure di prevenzione”. La catena delle infezioni non si è quindi spezzata, “ma la direzione che abbiamo imboccato è comunque positiva e di certo non possiamo permetterci di togliere il piede dall’acceleratore proprio adesso”, precisa Turrell. “Una volta che le persone vengono davvero coinvolte, che comprendono cosa bisogna fare per rimanere al sicuro e vengono aiutate e seguite in tutte le operazioni che possono salvarle – spiega – allora si arriva davvero al punto di svolta nel contenere l’epidemia. Se ci fosse stato un impegno più tempestivo nel coinvolgere la popolazione probabilmente moltissime vite non sarebbero andate perdute”.
L’ebola ha cambiato tutto
“Considerata la novità di questa crisi – commenta la responsabile dell’Ufficio Africa di Oxfam Italia, Silvia Testi – non c’è da sorprendersi nel vedere che le associazioni coinvolte nella risposta all’emergenza, abbiano compreso tutto ciò solo strada facendo”. Ora “nei Paesi colpiti l’inferno dell’Ebola ha cambiato tutto, stravolgendo gli aspetti più intimi e privati della vita di tutti i giorni: i rapporti e le relazioni che le persone hanno con familiari, vicini, partner, defunti e il proprio corpo. Per convincere le persone a cambiare alla radice le proprie abitudini e a comprendere il rischio che la malattia porta con sé – osserva l’operatrice – un approccio inclusivo che tenga conto delle emozioni e della percezione reale che la gente ha dell’epidemia è stato di vitale importanza”.
“La necessità di un maggior coinvolgimento delle comunità colpite è stata finalmente riconosciuta dai governi e dalle organizzazioni umanitarie come una componente essenziale della risposta all’Ebola”, prosegue Oxfam che in uno studio condotto a fine 2014 ha evidenziato “come una percezione negativa e la paura tra la gente, rispetto alle operazioni di risposta all’epidemia, abbiano contribuito a complicare a rendere inefficace il lavoro di contrasto all’Ebola in alcune aree. Interviste e l’osservazione diretta tra la gente, ad esempio, hanno rilevato che per la popolazione della Liberia le prime misure d’intervento messe in campo hanno generato sfiducia nei confronti del lavoro delle agenzie governative e un timore diffuso verso le misure mediche, con il conseguente ricorso a forme di auto-trattamento della malattia”.
Ecco perché, se è vero che “l’azzeramento dei casi di Ebola non sarà facile da raggiungere, per arrivarci, oltre ad un efficace trattamento della malattia a livello medico, sarà necessario che i governi e le associazioni umanitarie diano un peso maggiore al coinvolgimento delle comunità coordinando gli interventi necessari al livello dei singoli distretti e province”.