Il fatto accadde nel 1954 ma solo otto anni dopo si scoprì la verità, per puro caso
Nel 2011 ci sono state 2369 cause promosse per ingiusta detenzione. Vuol dire che 2369 persone sono – o ritengono di essere state – messe in galera senza che avessero fatto nulla di male. E’ un dato impressionante, anche se bisogna aggiungere che sono tanti anche i magistrati che fanno bene il loro dovere. I milioni di euro spesi per errori giudiziari, sempre nel 2011, sono stati ben 46. Dall’archivio degli errori giudiziari è emersa una storia accaduta nel lontano 1954. Altri tempi, altri mezzi, si dirà, ma non è così, visto che si ripetono con tanta frequenza. Il 6 ottobre 1954 ad Avola, in provincia di Siracusa, una donna di mezz’età si recò al locale commissariato di polizia per denunciare la scomparsa di suo marito, Paolo Gallo, da tutti soprannominato Chiodo per via della sua magrezza e della sua altezza. Paolo Gallo, contadino, il giorno prima era andato nei campi e non aveva fatto più ritorno.
La moglie, interrogata dai poliziotti che ne volevano sapere di più sull’uomo, disse che era una persona normale e che le uniche liti avvenivano tra lui e suo fratello, Salvatore Gallo, anch’egli contadino. Aggiunse che le liti tra di loro erano note a tutti, anche perché non di rado si accapigliavano nella strada, anche per futili motivi. La donna tornò a casa non senza aver prima mostrato i luoghi dove suo marito il giorno prima era andato a lavorare. Le indagini, dunque cominciarono dai campi di proprietà dell’uomo, dove gl’investigatori trovarono tracce di sangue che fecero esaminare dal medico legale, dottor Ferdinando Nicoletti. Gli stessi inquirenti fecero visita al fratello dello scomparso, presso la cui casa trovarono altro sangue, anch’esso fatto analizzare dallo stesso dottore, il quale scoprì che tra il sangue trovato nei campi di Paolo Gallo e quello trovato in casa del fratello Salvatore era lo stesso sangue, compatibile con quello della vittima. Dunque, fu la conclusione degli inquirenti, Paolo Gallo era morto e ad ammazzarlo era stato suo fratello Salvatore che fu arrestato insieme al figlio Sebastiano. Le accuse per padre e figlio furono quelle di omicidio in seguito ad una lite furibonda con Paolo e di occultamento di cadavere. Al processo le accuse ressero, anche se i due incolpati giurarono più e più volte che loro non c’entravano nulla con la morte di Paolo. Salvatore confermò le liti frequenti con suo fratello, ma giurò che mai e poi mai lo avrebbe ucciso. Quanto al sangue che era stato ritrovato a casa sua, Salvatore disse che era il sangue di un agnello ucciso pochi giorni prima. Niente, non fu creduto, anzi, ciò costituì un’aggravante. Le uniche novità vennero da altri due contadini che dichiararono di aver visto Paolo Gallo girare in uno dei paesini limitrofi molti giorni dopo la denuncia della sua scomparsa. I due contadini furono a loro volta arrestati per falsa testimonianza e furono scarcerati solo dopo aver ritrattato le testimonianze. Il processo andò avanti con la condanna del padre all’ergastolo e del figlio a 14 anni, pena confermata anche in secondo grado. Il ricorso in Cassazione non modificò l’esito, per cui Salvatore fu trasferito a Ventotene, lontano dai familiari. Il cadavere non fu mai ritrovato.
Anni dopo, un giornalista de La Sicilia tornò ad occuparsi del caso, scrivendo una serie di articoli che misero a fuoco luoghi, fatti e personaggi di quella storia, ma nemmeno lui riuscì a formulare una verità diversa da quella dei tribunali. Otto anni dopo, presso la caserma di Santa Croce Camerina, un paese in provincia di Ragusa e a 70 km da Avola, un uomo presentò una denuncia su un’ingiustizia da lui ritenuta essere stata commessa ai suoi danni. Il carabiniere acquisì la denuncia e mentre la portava sul tavolo di chi doveva fare indagini fu colpito dalla firma, che lesse e rilesse, fino a quando si disse che non c’erano dubbi: il denunciante era Paolo Gallo, di cui evidentemente doveva ricordarsi qualcosa. Fece un rapido accertamento e scoprì che quel Paolo Gallo era la stessa persona scomparsa 8 anni prima. Il redivivo ammise che il 6 ottobre 1954 aveva ricevuto una botta in testa dalla moglie che ogni giorno gli dava una scarica di botte, per cui, una volta riavutosi, pensò di scomparire per rifarsi una nuova vita lontano da quella donna.
Salvatore e Sebastiano furono scarcerati, ma dopo otto anni di carcere. Salvatore uscì da Ventotene su una sedia a rotelle perché in tutti quegli anni si era buscato una forte artrosi. Il sangue ritrovato in casa sua era davvero di un agnello ucciso giorni prima ma non erano stati creduti, il dottore aveva scambiato sangue umano, per di più appartenente a Paolo Gallo, vivo e vegeto.
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