Le intercettazioni hanno rivelato come l’elezione di Di Girolamo sia stata progettata, studiata, preparata e realizzata da un’organizzazione che, per raggiungere l’obiettivo, si serviva di personaggi che andavano all’estero, avvicinavano connazionali di cui probabilmente avevano gli indirizzi e che erano segnalati da amici e conoscenti, li pagavano, si facevano dare le schede elettorali con le relative buste o ne compilavano altre ottenute da chi le aveva ricevute o falsificate.
Per far emergere ufficialmente questo traffico, però, c’è voluto il presunto coinvolgimento dell’eletto in un’altra vicenda di truffa e riciclaggio internazionale che, con la conseguente richiesta di arresto, ha fatto puntare i riflettori sui sospetti, a suo tempo avanzati ma non approfonditi, di mancanza dei requisiti per l’elezione. Altrimenti, molto probabilmente le irregolarità commesse nell’organizzazione delle elezioni sarebbero state taciute o note alla ristretta cerchia di alcuni personaggi o dei partiti e delle associazioni. Eppure, del fatto che qualcosa non andasse nelle modalità dell’esercizio del voto degli italiani all’estero si era già avuta notizia in occasione delle prime elezioni dell’aprile del 2006 quando, in alcune o troppe realtà, le schede votate e pervenute a Roma erano più numerose di quelle mandate, quando nei plichi era contenuta propaganda per un partito, quando erano giunte a chi non ne aveva diritto e magari non erano state ricevute da chi ne aveva diritto e quando, per i soliti trucchetti della moltiplicazione delle schede, erano stati denunciati brogli documentati e successivamente minimizzati trattandosi di candidati dello stesso partito.
Insomma, un disastro. Il guaio è che esso è stato ripetuto nelle elezioni del 2008: centinaia di voti scritti con la medesima grafia in America Latina e in Europa (chi scrive, almeno per l’Europa, ne è stato testimone oculare), video che testimoniavano brogli in Australia, compravendita dei voti e delle schede in Europa, per non parlare della fiera dei voti all’interno delle associazioni e partiti. Tutti, nessuno escluso.
Ma, dicevamo, c’è voluto il caso Di Girolamo per far riflettere su una legge, quella del voto all’estero, giusta in sé ma di difficile applicazione in quanto la modalità del voto per corrispondenza non garantisce né la segretezza, né la libertà, né la trasparenza del voto, ma si presta facilmente a brogli di vario genere e di varia gravità.
Gli esponenti dei partiti hanno fatto dichiarazioni che vanno dall’abolizione senza mezzi termini (Lega) alla messa in stato di accusa non del principio del voto all’estero ma soltanto della modalità per corrispondenza. Con accenti diversi l’hanno criticata sia il Pdl che il Pd. Carlo Giovanardi, ha espressamente detto che i connazionali all’estero devono poter votare “qui (in Italia) o all’estero, ma per deputati e senatori che stanno in Italia”. Ci sembra la soluzione migliore. Ormai si parla apertamente della necessità di rivedere la legge. I primi due esperimenti con elezione di deputati e senatori residenti all’estero sono stati un fallimento. Date le premesse, è dubbio che ce ne sia un terzo.