Vediamo di cosa si tratta nel dettaglio e perché la riforma è tanto criticata
La plenaria del Parlamento europeo ha approvato, la scorsa settimana a Strasburgo, con 348 voti a favore, 274 contrari e 36 astenuti, il controverso accordo con il Consiglio Ue sulla direttiva sul copyright online, volto a sottoporre le grandi piattaforme di Internet (Youtube, Facebook, Google, etc., e in particolare gli aggregatori di notizie o i servizi di monitoraggio dei media), al pagamento dei diritti d’autore per i contenuti (video, musica e articoli giornalistici) diffusi e condivisi sulle loro piattaforme.
Prima di questo voto nettissimo, tuttavia, la direttiva sul copyright ha rischiato seriamente di essere messa a rischio da un contesto insidiosissimo. Il voto della Plenaria riguardava l’accordo in “trilogo” già raggiunto, a metà febbraio, fra i rappresentanti dell’Europarlamento (il relatore e i relatori ombra), il Consiglio Ue e la Commissione. Gli eurodeputati la settimana scorsa dovevano votare innanzitutto il testo integrale dell’accordo, senza la possibilità di emendarlo: in caso di rigetto, sarebbero passati al voto degli emendamenti, cosa che però non avrebbe più permesso di rinegoziare con il Consiglio Ue un nuovo accordo prima delle elezioni europee di maggio.
Tuttavia, una mozione presentata all’ultimo momento da un gruppo di eurodeputati di diversi gruppi (superiore alla soglia minima prevista di 38) ha chiesto e ottenuto di votare prima gli emendamenti, e successivamente il testo finale. E la Plenaria ha bocciato questa mozione con solo cinque voti di scarto: 312 favorevoli, 317 contrari e 24 astenuti. Se fosse passata, questa mozione avrebbe rischiato di equivalere a una bocciatura preventiva del testo dell’accordo, a meno che tutti gli emendamenti fossero stati bocciati, uno dopo l’altro.
La direttiva copyright prevede che le piattaforme digitali negozino accordi di licenza con gli editori in modo da remunerare i creatori dei contenuti online. Questa disposizione aveva sollevato forti critiche perché gli oppositori temono la predisposizione di “filtri di upload”, una sorta di “censura preventiva”, che a loro dire metterebbe a rischio la libertà di espressione e la libera circolazione delle idee su Internet.
La direttiva, tuttavia, esclude chiaramente dal suo campo di applicazione i “collegamenti ipertestuali” agli articoli di notizie e “singole parole o estratti molto brevi” (ad esempio “frammenti”), nonché le enciclopedie online senza scopo di lucro, come Wikipedia, e le piattaforme di sviluppo e condivisione “open source”.
Le nuove piattaforme online di Pmi beneficeranno di un regime più leggero nel caso in cui non ottengano un’autorizzazione dai titolari dei diritti.
Manca ora un solo passaggio all’adozione finale dell’accordo: la conferma, a maggioranza qualificata, da parte del Consiglio Ue. Sulla carta, una pura formalità. Ma niente è scontato con la direttiva copyright: nella posizione presa precedentemente, cinque Paesi (Italia, Polonia, Olanda, Finlandia e Lussemburgo) si erano opposti e due (Slovenia e Belgio) si erano astenuti. Ma recenti contrasti in seno al governo tedesco potrebbero mettere a rischio il voto favorevole della Germania, facendo mancare la maggioranza qualificata.
Adnkronos