L’eutanasia, dal greco letteralmente „buona morte“, è il procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, una menomazione o uno stato psichico che lo pone in una condizione di esistenza vegetale.
Preferisco utilizzare il termine „Testamento biologico“ che è entrato ormai nell’uso corrente sia negli ambienti della scienza medica, sia nei mezzi di comunicazione di massa che nel mondo politico.
Oggi è d’attualità non solo per i recenti casi di malati che hanno voluto interrompere ogni terapia piuttosto che sopravvivere come automi legati ad una macchina, ma anche per il dibattito in corso nel Parlamento italiano su una proposta di legge che vuole disciplinare questa delicata materia. Purtroppo è ancora lontano un possibile compromesso tra due contrastanti posizioni: da una parte i partiti di destra che si oppongono risolutamente ad una morte procurata perché ritengono la vita inviolabile, e dall’altra lo schieramento di centro-sinistra favorevole al testamento biologico, cioè a favorire la volontà del paziente, coscentemente ribadita in un documento scritto, che non vuole più continuare a vivere un’esistenza arborea.
I principi etici sono una cosa, un’altra la realtà drammatica di esseri umani condannati a portare avanti i loro giorni nell’immobilità assoluta, privi della possibilità di parlare, di connettere, di comunicare.
Ora, se la vita significa per una persona disporre della sua intelligenza, dell’integrità fisica del corpo, di tutte le opportunità e le occasioni che il mondo gli offre (studio, tempo libero, relazioni sociali e affettive, rapporti familiari, accesso al mondo meraviglioso della arti, della musica, della letteratura), allora qualsiasi impedimento alla realizzazione della sua personalità è da combattere.
In Svizzera esistono associazioni che raccolgono le dichiarazioni di malati terminali che desiderano ricorrere alla „buona morte“.
Nei maggiori paesi europei il problema è affrontato permettendo alle autorità sanitarie e giuridiche di porsi dalla parte dei desideri dei pazienti costretti a restare pietrificati in un lettino senza il conforto di una comunicazione umana.
Il testamento biologico è quindi considerato una dichiarazione anticipata di trattamento in cui si esprime la volontà di una persona (testatore), fornita di condizioni di lucidità mentale, in merito alle terapie che intende o non intende accettare nell’eventualità in cui dovesse trovarsi in uno stato d’incapacità di esprimere il proprio diritto ad acconsentire o non acconsentire alle cure proposte per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti; malattie che costringono questo individuo a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscono una sua pur minima relazione di vita.
Dunque il Testamento biologico soddisfa la prerogativa fondamentale dettata dalla dichiarazione dei diritti universali dell’uomo, e cioè l’autodeterminazione.
Non c’è libertà, non c’è democrazia se questo principio essenziale della convivenza civile non viene rispettato, non solo in situazioni normali, ma anche in casi estremi dove la compassione, la pietà devono prevalere su rigidi dogmi e convinzioni dottinarie anacronistiche.
Paolo Tebaldi