Ho perso la verginità, odio il mio capo, non dirlo a nessuno, ho copiato il compito. Sono alcune delle frasi che consiglia di digitare il nuovo sito Openbook, un vero e proprio ‘cerca segreti’ ideato da tre ingegneri di San Francisco per dimostrare le carenze nel controllo della privacy da parte di Facebook. Basta digitare una o più parole ed ecco apparire i post inviati negli ultimi giorni che le contengono. Messaggi nati nel social network, ma che ora circolano liberamente sul web. A differenza del motore di ricerca interno di Facebook, lo strumento scova le informazioni rese pubbliche dalla società di Mark Zuckerberg e compagni attraverso le applicazioni lanciate il 21 aprile, che aprono la comunità al resto del web e che hanno scatenato una valanga di critiche. “Il nostro sito è solo una parodia, ma lo scopo è serio – scrivono i programmatori di Openbook – Vogliamo che Facebook faccia tornare private le informazioni di cui dispone, per far sì che questo sito e altri come questo non funzionino più”. L’elenco delle ultime ricerche compiute dimostra che la caccia alle informazioni più intime e personali è cominciata.
Spesso le rivelazioni sembrano scritte apposta per essere divulgate al massimo, oltre volte l’impressione è che gli utenti non siano perfettamente consapevoli del destino finale delle conversazioni in rete e gestiscano le proprie comunicazioni in modo non molto diverso rispetto alle e-mail. “Il punto – scrivono i creatori di Openbook – è che Facebook non esplicita con chiarezza quali informazioni diventeranno pubbliche”. Districarsi tra le norme della privacy di Facebook non è affatto semplice, tanto che recentemente il New York Times ha calcolato che l’informativa del colosso Internet contiene 5.830 parole, 1.287 in più della Costituzione americana e che per rendere i propri dati almeno parzialmente privati occorre cliccare su 50 impostazioni e 170 opzioni. L’Electronic Frontier Foundation ha pubblicato invece un prospetto che mostra come dal 2005 ad oggi sia peggiorata la politica della privacy di Facebook.
Gli attacchi a Zuckerberg, 26 anni appena compiuti, ormai si moltiplicano. Il Business Insider, ad esempio, pubblica una conversazione tra il fondatore di Facebook ed un amico che dimostrerebbe la sua totale indifferenza nei confronti della privacy. Lo stesso blog a marzo accusò Zuckerberg di aver rubato le idee e i codici di un progetto universitario molto simile, HarvardConnection, diventato ConnectU, per il suo tornaconto. Sono diversi ormai i siti che consigliano di cancellare il proprio profilo sul social network. Uno di questi ha indetto il Quit Facebook Day, invitando a staccare la spina il 31 maggio, ma al momento non pare aver riscosso grande successo.
La stragrande maggioranza dei 400 milioni di utenti sembrano non avere nessuna intenzione di lasciare la community a dispetto dei dubbi sollevati. Un capitale che fa gola a molti e che quattro ragazzi americani promettono di intaccare. In pochi giorni sono riusciti a raccogliere una certa notorietà e fondi sufficienti a lanciare il progetto Diaspora: un social network, che nascerà a settembre e che si propone come l’anti-Facebook proprio perché garantirà agli utenti pieno controllo sui propri dati personali.