Uno degli ultimi studi pubblicati dalla prestigiosa rivista National Academy of sciences, risolve un arcano secolare: i soldi ci rendono felici? Ce lo siamo sempre chiesto perché di fronte un noto detto – “i soldi non danno la felicità” – ci siamo sentiti un po’ spiazzati o per lo meno disorientati dal fatto che se davvero i soldi non rendono felici, perché chi è povero, chi ha debiti o semplicemente arriva a stento a fine mese non sembra essere così felice? E se aver soldi non porta felicità, ma anche non averne non appaga, allora cosa può rendere l’uomo davvero felice? Un tempo questa era materia empirica di filosofi pensatori, oggi invece è oggetto di ricerca da parte di importanti studiosi con tanto di dati concreti alla mano per confutare, una volta per tutte, l’antico (e a questo punto anche errato) detto che ci ha sempre messo un po’ in imbarazzo per i nostri dubbi. Dopo tutto l’uomo ha sempre inseguito la felicità come il benessere, che è garantito dai soldi, allora ne consegue che soldi e felicità debbano per forza andare nella stessa direzione… altrimenti come facciamo ad inseguirli? Da qui il disorientamento dell’uomo di fronte al vecchio detto. Per fortuna due importanti studiosi ci hanno dato la soluzione: per la stragrande maggioranza della popolazione – per essere più precisi l’85% – la ricetta della felicità è costituita proprio dai soldi.
I due studiosi, che ci sollevano dai sensi di colpa per aver timidamente e anche segretamente sospettato nell’inesattezza di questo secolare detto, sono Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia, e Matt Killingsworth, esperto di studi sulla felicità. Partendo da due posizioni diverse (l’economo pone il tetto di 100.000 euro per una correlazione tra denaro e felicità; mentre il secondo sostiene semplicemente che al crescere dei guadagni cresce anche la felicità) arrivano alla medesima soluzione che, sì, i soldi fanno la felicità. Da qui tutti i metodi sono leciti per far soldi e quindi per essere felici, se poi sono metodi poco faticosi, poco dispendiosi ancor meglio. Ma è proprio così?
Uno dei metodi legali più semplici per “fatturare felicità” al giorno d’oggi, in modo veloce e anche con poca fatica, ci viene dal mondo dei social dove, oltre a livello di guadagno, ci si sente appagati anche nella vanità personale. Cosa c’è di male se qualcuno, più furbo e capace degli altri, si arricchisce attraverso i social? Nulla, davvero, è un bene che si riesca a sfruttare i canali social per promuovere le proprie attività, per affermarsi o per mettersi in mostra riuscendo quindi a fatturare, spesso con grandi numeri. Ma, come in tutte le cose, bisogna sempre non oltrepassare i limiti, bisogna essere in grado di capire se il proprio appagamento possa arrivare a nuocere ad altri, ovvero bisognerebbe regolarsi e purtroppo spesso non è così. Le cronache che giungono dai social ci mostrano fenomeni assurdi dove l’esibizionismo e la voglia di mettersi in mostra spesso hanno avuto esiti deleteri. Quante volte abbiamo letto di giovani che per dei video si sono lanciati in prodezze estreme e non sempre sono andate bene. Quante volte ci rammarichiamo per le challenge, o le sfide nonsense e spaventose alle quali non ci si sottrae per aumentare le visualizzazioni, i follower, che possono portare a monetizzare, non pensando che spesso le conseguenze possono essere tutt’altro che felici. Il caso del gruppo di youtubers romani, TheBorderline, che contava milioni di utenti della rete e circa 600 mila iscritti al canale, nonché il guadagno di grosse somme di denaro – si parla di un fatturato di 200 mila euro l’anno, con un utile di 46 mila euro – attraverso la pubblicazione di video indubbio spessore, ci dice molto sull’inseguimento della felicità e del guadagno facile dei giovani di oggi. Tutto porta facilmente ad eccedere, a non riuscire più a regolarsi e subentrano anche altri fattori significativi, che sia l’assenza di giudizio, di discernere ciò che è possibile da ciò che è rischioso, la realtà del vissuto dal vivere virtuale. Subentra l’incapacità di darsi dei limiti non solo quelli di velocità – anche se probabilmente sarebbe bastato a salvare la vita al piccolo Manuel – ma anche di azzardo. Davvero la ricerca smodata e della propria felicità giustifica la mancanza di tutto il resto? Fatturare felicità va bene, ma non a spese degli altri, questa dovrebbe essere la prima regola.
Redazione La Pagina