Da gennaio, 58 donne uccise dal partner o dall’ex: un problema che riguarda la politica e la società
La scorsa settimana sono state uccise due donne: una ragazza a Pordenone, uccisa con quattro colpi di pistola dall’ex-fidanzato che si è poi suicidato, e una maestra elementare 46enne, uccisa dall’ex-compagno che ha confessato come “la discussione è degenerata e ho perso la testa”. E poi il caso di Sara Di Pietrantonio, la studentessa romana uccisa, cosparsa di alcol e bruciata dall’ex-fidanzato.
L’ennesimo episodio del dramma femminicidio in Italia? Pare di sì: dall’inizio dell’anno almeno 8.856 donne sono state vittime di violenza e 1.261 di stalking, mentre da gennaio 2015 fino ad oggi più di 155 donne sono state uccise e per 58 di loro l’aguzzino è stato proprio il partner o l’ex. Sono dati diffusi da Telefono Rosa, il Centro italiano di orientamento per i diritti della Donna, che la scorsa settimana ha lanciato su Twitter l’hashtag #quanteancora e non solo perché l’organizzazione, secondo Ansa, chiede risposte al Governo: “Quante ancora ne devono morire perché il Governo si renda conto che le risorse economiche, i mezzi e le attività di contrasto alla violenza di genere sono del tutto insufficienti? Quante donne, ragazze, madri, figlie, sorelle, amiche dobbiamo vedere massacrate da ex, diventati mostri e assassini, prima che vengano prese decisioni e attuate politiche ‘attive’ idonee ad un problema sociale enorme come quello della violenza sulle donne?”, denuncia Gabriella Moscatelli, presidente di Telefono Rosa.
Rumore da Nord a Sud
In tutta Italia la settimana scorsa, sulla scia di una protesta nata in rete con l’hashtag #saranonsarà, le donne hanno scelto un drappo rosso, che hanno esposto alle finestre per dire ‘no’ alla violenza.
“Dieci vittime di femminicidio in più o dieci di meno ogni anno cambiano poco: resta la portata del fenomeno, una lunga scia di sangue che non si arresta nel nostro Paese”, commenta con Adnkronos Angela Romanin della Casa delle Donne di Bologna, spiegando che non solo il maltrattamento domestico, lo stalking e la violenza sessuale “possono portare alla morte della persona offesa, ma anche la violenza psicologica”. Un controllo sulla donna da parte del compagno all’interno delle mura domestiche che si rivela “non meno devastante di quella fisica” e su cui bisogna imporre maggiore attenzione.
Si chiedono fondi alla ministra Boschi
“Il femminicidio di Sara Di Pietrantonio ha scosso il Paese. La crudeltà e l’efferatezza hanno lasciato basite anche noi. Ma proprio per questo è ora che l’Italia metta in campo strumenti e risorse adeguate”, afferma secondo Adnkronos Gabriella Moscatelli, presidente di Telefono Rosa, che chiede alla ministra Maria Elena Boschi di confermare i fondi disponibili per contrastare la violenza, “anzi, è necessario aumentarli affinché i centri ‘Antiviolenza’ siano potenziati per sostenere le vittime (il 90% delle donne non denuncia: un dato allarmante)”. Inoltre, aggiunge, vi sia “un impegno costante affinché nelle scuole sia inserita sistematicamente: l’educazione di genere, la parità di genere e la lotta al sessismo in tutte le sue forme. Questa è una battaglia senza più attenuanti per la cultura machista di cui spesso anche il linguaggio è intriso”.
Una questione sociale
Una rivoluzione culturale per fermare il femminicidio che deve partire dalle scuole e che necessita più che mai di coinvolgere gli uomini e non solo le donne. L’autore di violenza utilizza l’aggressività nella relazione “per sancire possesso e controllo” specie nel momento in cui si rompe quell’equilibrio ‘malato’ di sottomissione della donna. Ma l’aggressività “si può trattare”, assicura, secondo Adnkronos, Andrea Bernetti, psicoterapeuta e responsabile del Cam, il Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti di Roma, che chiede un maggiore coinvolgimento delle istituzioni nel lavoro di prevenzione. “L’uomo può fare un percorso per interrompere il comportamento violento e assumersi le proprie responsabilità”: la consapevolezza è il primo passo. “Da inizio anno fino ad oggi stiamo trattando 8 casi, e sono tutti arrivati al nostro Cam volontariamente”, dice Bernetti.
Ancora poco se si pensa che in Italia, ad esclusione dei progetti in carcere, sono in tutto 15 i centri (compresi i 5 Cam) che si occupano di autori di violenza. La concentrazione è al Centronord. Ora, dopo una convenzione con il Municipio Roma VII, il Cam di Roma fa ‘rete’ con Asl, forze dell’ordine e assistenti sociali perché gli autori di violenza siano indirizzati al Centro.
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