Nonostante la fiducia Mario Draghi si dimette. Forza Italia, Lega, M5S scelgono di non votare
Termina oggi la legislatura targata Draghi, l’ex numero uno della Bce ha rassegnato le dimissioni in via definitiva oggi 21 luglio, dopo aver raggiunto una fiducia al Senato sulla risoluzione Casini con soli 95 voti a favore. Mentre FI, Lega e M5s scelgono il non voto, la fiducia da parte di Pd, Iv, Leu, Ipf e Italia al Centro non basta per rimettere in piedi quella maggioranza che in questi giorni è andata via via sfaldandosi. Così l’attuale governo resterà in carica solo per il disbrigo degli affari correnti, come è stato comunicato dal segretario generale del Quirinale, Ugo Zampetti, attraverso una nota ufficiale.
Il “cuore dei banchieri centrali”
Rivolgendosi alla Camera, dove è stato accolto con un lunghissimo applauso e una standing ovation, Mario Draghi ha rivolto parole di ringraziamento: “Innanzitutto grazie, grazie. Grazie per questo applauso naturalmente, certe volte anche il cuore dei banchieri centrali viene usato, a volte”, ha detto in Aula, facendo riferimento ad una barzelletta sui banchieri “senza cuore” che il Presidente dimissionario aveva raccontato alcuni giorni prima. “Grazie per questo e per tutto il lavoro fatto in questi mesi – ha continuato il premier – Chiedo di sospendere la seduta perché sto recandomi dal presidente della Repubblica per comunicargli le mie determinazioni”. Dunque, durante il colloquio con il Capo dello Stato, come reso noto dal Quirinale, “il professor Draghi ha reiterato le dimissioni sue e del governo da lui presieduto. Il Presidente della Repubblica ne ha preso atto. Il governo rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti”.
Terremoto politico
Nel frattempo è in atto un vero e proprio terremoto politico per via delle reazioni contrastanti all’interno dei partiti che hanno deciso di non partecipare al voto di fiducia scegliendo di non votare. Si tratta di Forza Italia, Lega, M5S che hanno deciso di non votare sulla risoluzione Casini su cui il Premier aveva posto la fiducia e all’appello di Draghi in Aula al quale chiedeva loro “siete pronti a ricostruire il patto” che ha consentito all’esecutivo di andare avanti in questo anno e mezzo? È soprattutto all’interno dei due partiti che facevano parte della maggioranza che è scoppiato il caos post non voto alla fiducia.
Forza Italia perde la ministra Gelmini e il ministro Brunetta in aperto contrasto con la decisione di abbandonare l’Aula dopo il voto, seguiti dal senatore Cangini.
“Sono degli irresponsabili coloro che hanno scelto di anteporre l’interesse di parte all’interesse del Paese, in un momento così grave – spiega il Ministro Brunetta – I vertici sempre più ristretti di Forza Italia si sono appiattiti sul peggior populismo sovranista, sacrificando un campione come Draghi, orgoglio italiano nel mondo, sull’altare del più miope opportunismo elettorale. Io rimango dalla stessa parte: dalla parte dei tanti cittadini”.
“La destra ha fatto una scelta incomprensibile che fa a pugni anche con l’elettorato di centrodestra – è il commento di Maria Stella Gelmini – Spiace constatare che anche FI e Lega hanno preferito seguire l’input della Meloni piuttosto che mettere al centro l’interesse del Paese”.
Anche la deputata Soave Alemanno lascia il M5s annunciandolo con un post su Fb nel quale scrive “Nel pieno di una crisi che sta devastando il Paese, il Parlamento compie una scelta insensata e vigliacca buttando all’aria il lavoro fatto finora, sottraendosi, di fatto, dalla responsabilità di cercare delle soluzioni”.
L’autore principale dello sgambetto che ha permesso la caduta di questo governo, il leader dei 5s spiega la scelta di non prendere parte al voto in questi termini: “Siamo arrivati alla giornata di ieri con la strategia che abbiamo deciso insieme. Chiedevamo un’agenda di governo”, ha detto l’attuale Conte, “Abbiamo preso atto che non ci volevano, togliamo il disturbo”. La nostra “è stata una decisione pressoché obbligata”, ha osservato Giuseppe Conte per spiegare la scelta del MoVimento di uscire dall’Aula.
Urne: in cerca di data
Dal momento in cui Sergio Mattarella scioglierà le Camere, le elezioni delle nuove Camere devono avere luogo entro 60 e 70 giorni dalla fine delle precedenti. Dunque se lo scioglimento avverrà in data odierna si potrebbe andare al voto già il 25 settembre. Altrimenti, se il Capo dello Stato decidesse di attendere (come fece Scalfaro che attese 4 giorni tra le dimissioni di Ciampi e lo scioglimento delle Camere) la data utile sarà il 2 ottobre. Ma tra le date papabili si fa largo anche l’ipotesi del voto anticipato al 18 settembre. In questo modo, infatti, il nuovo governo potrebbe approvare la nuova Legge di Bilancio che va chiusa entro il 31 dicembre, altrimenti lo Stato entrerebbe nel cosiddetto “esercizio provvisorio” nel quale si ha una capacità di spesa ridotta.
Redazione La Pagina