Nelle sale dal 22 settembre il film in bianco e nero che racconta una drammatica vicenda d’amore ambientata nella Germania del dopoguerra
Presentato in concorso alla 73ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (e successivamente al Toronto International Film Festival), Frantz, il film di Francois Ozon, si è rivelato uno dei film più interessanti della kermesse cinematografica della laguna. Remake della pellicola di Ernst Lubitsch, Frantz racconta una romantica storia d’amore ambientata alla fine della prima guerra mondiale, costruita intorno all’incontro tra una giovane ragazza tedesca, Anna, che ha perso il fidanzato Frantz, morto al fronte in Francia, ed un misterioso uomo francese, Adrien, che un giorno lei trova sulla tomba del fidanzato e la cui presenza, vista la sconfitta dei tedeschi, provocherà una serie di reazioni molto forti e sentimenti estremi tra i cittadini.
Adrien diventerà pian piano l’’amico’ della trincea opposta, il violinista bohemienne che suonava con Frantz e il cui segreto, facilmente intuibile, sarà svelato solo ad Anna. Tra i due si instaura un forte legame, che porterà Anna a scoprire vari segreti del compianto fidanzato e a compiere un viaggio a Parigi, alla ricerca di risposte che la porteranno ad elaborare a suo modo quel lutto collettivo che la Germania e la Francia non hanno ancora superato.
Nel film si mescolano sentimenti vari che rappresentano e accomunano molte delle storie nate negli anni della guerra e del primo dopoguerra: oltre al senso di colpa dei padri che spinsero i figli in guerra o di chi in trincea fu vittima dell’assurdità stessa della guerra, il film affronta la bugia come gesto ultimo di tutela da una verità inaccettabile e dolorosa in una realtà cupa e triste come il dopoguerra in Germania, punteggiato dalle tante perdite e dalla difficile ricostruzione soprattutto morale.
Il bianco e nero scelto dal regista ben si concilia con un melodramma trattenuto, ravvivato senza forzature da qualche sprazzo di colore, ricordo di un passato spensierato o proposito di un futuro migliore. Non mancano infatti i momenti di gioia, e quindi di colore, quando la fantasia, il sogno, l’arte come la musica, la pittura, i sentimenti ma persino i racconti non veri, le bugie, irrompono nella quotidianità. Un triangolo che ruota intorno al personaggio assente, perno emotivo del racconto di un mondo sospeso, alla ricerca della dolorosa ricomposizione della quotidianità da parte di milioni di persone segnate dalle perdite, divise dalle incomprensioni ma unite dalla sofferenza.
“Lavorare in bianco e nero per la prima volta è stata una sfida eccitante, ma allo stesso tempo un colpo al cuore, perché per mia inclinazione naturale, ho sempre scelto il colore e il technicolor. Mi sembrava quindi difficile rinunciarci per alcuni luoghi e alcune scene, specialmente per la sequenza della passeggiata nella natura, che faceva riferimento alla pittura romantica di Caspar David Friedrich. Ho quindi deciso di utilizzare il colore come un elemento di messinscena e di integrarlo alle scene di flash back, di bugie o di felicità, come se la vita tornasse all’improvviso in questo periodo di lutto; come il sangue che scorre nelle vene, il colore sarebbe venuto ad irrigare i piani in bianco e nero del film”. Oltre i colori, anche la musica sottolinea e fa risaltare i diversi registri di questo racconto, come nel passaggio dei versi del giovane Schiller sulle note, appena accennate, dell’Inno alla Gioia di Beethoven.
Melodramma con un raffinato sguardo sul momento storico, la pellicola di Ozon colpisce per la particolare cura dei dettagli con cui rende il viaggio emotivo dei protagonisti, su tutti quello della protagonista, con il suo cappotto tutto abbottonato e il cappello in testa. Il suo è un percorso di formazione compiuto con teutonico senso del dovere accompagnato da una struggente purezza d’animo.