Napolitano invita le forze politiche a “fare presto” sulle riforme, mettendo da parte interessi di parte per il bene comune
Giorgio Napolitano è l’unico tra tutti i personaggi politici ad essere contento. Dopo anni di appelli caduti nel vuoto, finalmente può tirare un sospiro di sollievo: esiste un testo di riforma della legge elettorale, frutto di un accordo a tre, che sembra tenere, malgrado le polemiche. I politici e i partiti si erano impantanati nella rete degli interessi di parte e mai era stata partorita una proposta. Con Renzi e con l’accelerazione che ha dato alla politica e con la capacità di coinvolgere i capi delle opposizioni – anche se ad accettare è stato solo Berlusconi – non solo c’è stato un accordo sulla legge elettorale, ma anche sul Senato delle autonomie e sul titolo V della Costituzione. In una parola, Napolitano si è trovato in presenza di proposte che possono aspirare ad essere mutate in leggi e dunque non può che essere soddisfatto. Il suo desiderio – peraltro già manifestato pubblicamente senza tanti raggiri – rimane quello di dimettersi dopo l’approvazione di queste leggi istituzionali. Noi pensiamo che lo farà all’indomani delle prossime elezioni politiche, in modo da rappresentare nella storia colui che ha portato la politica a rinnovarsi e a camminare con le gambe di nuove istituzioni.
In questa fase, tuttavia, è uno dei pochi a dirsi soddisfatto, seppure sempre vigile in quanto l’iter delle riforme è appena agli inizi e tutto, ancora, può succedere. Tutti gli altri protagonisti stanno vivendo una fase di passaggio che, come tutte le fasi di passaggio, sono molto delicate per il futuro dell’Italia ma anche per il futuro del proprio partito.
Sono preoccupati Renzi e Berlusconi e la cosa non deve stupire: sono i due personaggi che si stanno giocando tutto. L’uno, Renzi, se vince la scommessa ha una strada spianata davanti, potrà presentarsi alle elezioni come l’uomo nuovo che è riuscito a sparigliare e a cambiare ciò che in Italia sembrava destinato alla paralisi. Se la perde, darà l’opportunità alla sinistra interna del Pd di rialzare la testa e di porlo sotto accusa per aver voluto rottamare e rinnovare e invece per aver fallito. Se le riforme saranno approvate, Berlusconi potrà dire che ne è stato uno degli artefici. Avendole partorite, potrà sempre dire che se non c’è riuscito quando era al governo è stato perché gli altri gli hanno messo il bastone tra le ruote. Magari perderà il duello tra lui – ammesso che potrà candidarsi – e Renzi, ma sarà innegabile che è stato il secondo piede delle riforme. Non parliamo poi se il centrodestra dovesse vincerle le prossime elezioni: sarebbero il suo capolavoro. Renzi e Berlusconi, dunque, sono preoccupati perché sulle loro teste pesano i dubbi del successo della loro iniziativa, anche se si tratta di una preoccupazione positiva.
Sono preoccupate le opposizioni all’interno del Pd, perché se Renzi farà le riforme, l’area formata dagli ex comunisti-Pds-Ds sarà destinata a contrarsi sempre di più, fino ad essere ridotta alle prossime elezioni alla marginalità.
Sono preoccupati il M5S, la Lega e Ncd. Il primo perché malgrado una percentuale del 20% circa dei voti sarebbe destinato a fare da comparsa. Grillo finora non si è voluto alleare con nessuno. Ciò gli è servito per arrivare al 25% alle scorse elezioni, ma il rifiuto della responsabilità lo porterebbe presto fuori dalle decisioni e fuori dal Parlamento. La seconda è preoccupatissima perché con il 4% dei voti a livello nazionale rischia di rimanere senza seggi, per cui la Lega avrebbe due strade: rimanere una forza solo a livello amministrativo in alcune regioni del Nord e sciogliersi in Forza Italia alle politiche. Berlusconi, d’altra parte, lo sa bene e ha rifiutato – e non poteva fare comunque altrimenti – di accettare modifiche ad personam considerando la Lega come forza territoriale, quindi introdurre una clausola di salvaguardia sul carattere territoriale del movimento. Lo stesso discorso si può fare per il Nuovo centrodestra (Ncd) di Alfano. I sondaggi lo danno tra il 4 e il 6%, rischia, con la nuova legge, di sparire come partito con propri seggi. D i questo sono consapevoli i leader del Ncd e lo hanno anche detto con chiarezza, prendendosela con Berlusconi accusato di voler cannibalizzare quelle formazioni che gli farebbero superare la soglia del 35%. Lo stesso discorso lo si può fare di Sel e di un eventuale ritorno dell’Idv, che da soli rischiano di non prendere nessun seggio nel caso non volessero fondersi con il Pd.
Infine, è preoccupato Letta, continuamente accusato da Renzi di immobilismo. Malgrado il leader Pd lo abbia rassicurato che non intende prendere (per adesso) il suo posto, ma che deve solo darsi da fare per mettere a punto il contratto di governo e procedere ingranando la marcia per realizzarlo, Letta vede in Renzi un pericoloso concorrente. Ultimamente ha sposato le preferenze, allineandosi con la sinistra di Bersani e D’Alema e rispolverando il conflitto d’interesse, definito da Renzi un elemento di disturbo in un momento inopportuno in quanto le riforme sono più importanti di una legge sul conflitto d’interesse ormai fuori moda, mentre dovrebbe accelerare sul contratto di governo, rinviato ancora una volta.
Non a caso abbiamo parlato di preoccupazioni. Stanno cambiando le coordinate della politica italiana, molti temono di perdere rendite di posizione (e frenano sulle riforme), altri vogliono dare una sterzata salutare alle istituzioni e all’economia e altri ancora si adeguano, sperando di trarne vantaggi. E’ un anno cruciale, da cui può nascere una nuova Italia politica e un nuovo panorama politico, ma possono verificarsi rischi di catastrofe se il cambiamento non è gestito con pugno fermo, come finora sta facendo Renzi avendo egli capito che gli avversari del cambiamento sono tanti.