C’erano una volta gli “italos”, ossia i giovani italiani di seconda generazione nati in Svizzera o qui venuti in tenera età, con la problematica tipica di chi, pur condividendo la cultura e la lingua (seppure con una conoscenza “precaria”) dei genitori, di fatto, nella lingua, nelle abitudini e negli atteggiamenti si sentiva svizzero, benché senza passaporto elvetico. Orgogliosi e felici dell’Italia delle vacanze ma soddisfatti di vivere e lavorare in Svizzera.
Ora i giovani della G2 (seconda generazione), secondo la definizione della Fondazione Agnelli, si sono spostati in Italia e vivono le stesse problematiche, seppure aggravate dal fatto di avere alle spalle una cultura e una religione che li rendono, diciamo così, più riconoscibili rispetto ai coetanei italiani.
Si tratta dei giovani marocchini, tanto per citare una comunità abbastanza numerosa in Italia, ma possono essere di varie altre nazionalità e comunque aumentano ogni anno di circa centomila unità.
L’omicidio di Hina (pakistana) e di Sanaa (marocchina) sono solo la punta di un iceberg molto vasto e sconosciuto alle cronache perché spesso vissuto nell’isolamento.
Sono giovani che non rifiutano la cultura dei genitori, ma nello stesso tempo sono e vogliono essere italiani, magari vanno volentieri in vacanza nei Paesi di origine dei loro genitori, ma, come succedeva agli italos, il loro futuro è in Italia.
Solo che vivere all’occidentale, per loro che vengono da una religione musulmana, da una religione cioè diversa e intollerante, nel senso che le altre religioni sono o inferiori o fasulle al punto da essere combattute, non aiuta. Molti di questi giovani – le ragazze, essenzialmente, perché i maschi hanno un ruolo predominante – lamentano che la loro “fuga” dalle tradizioni dei genitori (abbigliamento, matrimoni combinati, infibulazioni) spesso viene risucchiata dalla mancanza di “diritti” da una parte e da un atteggiamento diffidente dei loro coetanei e/o adulti italiani dall’altra.
La soluzione del conflitto sarà il tempo a darla, possono aiutare molto lo spirito di accoglienza e di tolleranza o la volontà d’integrazione e molto può fare la propria individuale capacità di apertura.
Quanto ai diritti, si pensa subito a quello di voto ed è la mancanza del diritto di voto che molti giovani G2 lamentano.
A torto, a nostro avviso, perché il diritto di voto comporta l’appartenenza al Paese ospitante, appartenenza che significa anche cittadinanza, garantita dalla legge italiana a tutti quelli che ne fanno richiesta: agli adulti che abbiano risieduto e lavorato regolarmente per 10 anni e ai giovani nati in Italia o venuti da piccoli che ne fanno richiesta al compimento del diciottesimo anno di età.
Insomma, i problemi ci sono e sono reali, ma con la buona volontà da parte di ognuno si possono risolvere, specie se prevale lo spirito costruttivo.
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