La Cassazione giovedì 5 e venerdì 13 luglio ha pronunciato la parola fine, dopo tre gradi di giudizio, su due processi: il primo, ai poliziotti che nel luglio del 2001 fecero irruzione nella scuola Diaz a Genova, ritrovo dei no global, che devastarono la città, distruggendo negozi, macchine, vetrine e tutto quanto si trovava nelle strade; il secondo, ai no global arrestati, in tutto dieci, una sproporzione rispetto alle centinaia e centinaia che hanno rotto, bruciato e cercato anche di colpire a morte e che l’hanno fatta franca, magari tra gli apprezzamenti di amici e colleghi sedicenti rivoluzionari. Per chi non sia convinto che la giustizia in Italia abbia bisogno di essere radicalmente riformata, facciamo notare che undici anni per conoscere la verità processuale sono tempi storici che la dicono lunga sul nostro sistema giudiziario e che quando si dice che gl’investitori stranieri si tengono alla larga dall’Italia, non si dice un’amenità.
Ma torniamo al merito dei due processi. E’ curioso come le rispettive sentenze siano state accolte in modo diametralmente opposto dalle due parti. Il giudice, ai poliziotti e ai dirigenti che organizzarono l’irruzione nella sede dei no global, pestando e seminando prove fasulle, ha dato punizioni esemplari, anche se nessuno di loro farà la galera per sopraggiunto indulto (tre anni), ma non ha concesso alcuna attenuante e per di più saranno interdetti dal pubblico servizio per cinque anni. In poche parole, hanno perso il posto. Mentre il sindacato dei poliziotti fa notare la disparità di trattamento applicato dai giudici (ai no global le attenuanti generiche, ai poliziotti nessuno sconto), il capo della Polizia, Antonio Manganelli, dice: “L’Istituzione accoglie la sentenza della magistratura con il massimo dovuto rispetto” ma fa notare che alcuni dei poliziotti e dei dirigenti condannati facevano parte di squadre d’élite che avevano rischiato la vita e preso boss e terroristi per difendere lo Stato. Non concedendo le attenuanti generiche, a nostro avviso, il giudice ha voluto sottolineare il fatto che un’istituzione dello Stato non può ricorrere a mezzucci e falsificazioni di informazioni, nemmeno se lo scopo è quello di assicurare l’ordine.
Il processo ai no global si è concluso con cinque condanne che variano da sei anni e sei mesi (Ines Morasca) ai 15 anni (Francesco Puglisi), passando per i 10 a Alberto Funaro, i 12 a Marina Cugnaschi e i 13 a Vincenzo Vecchi. Il processo ad altri cinque no global dovrà essere rifatto in appello per le sole attenuanti generiche. Ecco il giudizio del portavoce dei no global, Luciano Muhlbauer: “La sentenza dimostra che il teorema accusatorio sta insieme con lo sputo”. Ed ecco quello dei difensori dei no global: “Con questa sentenza è stata fatta ingiustizia”. Secondo i due personaggi citati, il giudice, a chi ha procurato danni ingenti alla città e alle persone (si pensi solo alle centinaia di automobili incendiate di povera gente, alle ferite procurate, alle violenze perpetrate, ai negozi devastati) avrebbe dovuto fare un pubblico encomio. D’altra parte, poco c’è mancato che l’agente che ha sparato al giovane Giuliani che gli stava scagliando addosso un inceneritore venisse accusato di omicidio volontario quando le immagini mostrano che si era solo difeso legittimamente da un attacco portato da chi aveva tutto l’occorrente per incendiare bottiglie molotov per colpire i poliziotti che per assicurare l’ordine e la difesa dello Stato rischiavano e rischiano la vita per 1200 euro al mese.
Per fortuna, noi non siamo giudici, ma se fossimo stati noi a giudicare i no global, non li avremmo condannati nemmeno a un giorno di carcere, ma solo a rimborsare i danni, fino all’ultimo centesimo, se necessario con un lavoro coatto. In uno Stato democratico è legittima la protesta, ma la violenza e le devastazioni no.