Mentre gli insorti cercano di stanare il Colonnello, vengono ritrovati documenti del regime in cui si certifica la collaborazione tra Libia e Usa nella lotta al terrorismo
La storia si ripete. Gli insorti, occupando Tripoli, avevano creduto di regolare subito il dossier sul Colonnello, ma non avevano fatto i conti con un furbo di tre cotte che probabilmente si trovava nel bunker al momento dell’assalto alla capitale ma che poi, con una esplosione creata ad arte, è riuscito a chiudere dietro di sé il passaggio agli inseguitori. E così stiamo assistendo ai proclami di Gheddafi che incita alla resistenza e alla liberazione della Libia dagli americani, dai francesi e dagli alleati da un nascondiglio segreto e che non prefigura nulla di buono per il futuro della Libia.Per il Consiglio Nazionale provvisorio, intanto, è iniziata la marcia del riconoscimento e degli aiuti finanziari da parte degli occidentali per la ricostruzione del Paese. Gli americani – ma la stessa cosa hanno fatto anche gli inglesi, i francesi e gli italiani – hanno sbloccato una parte del patrimonio di Gheddafi all’estero. Si parla di una transizione che durerà mesi e si sa che quando si parla di mesi ci vorranno parecchi anni prima che si esca dalle difficoltà. A livello internazionale si parla poco degli eccidi commessi dagli insorti, quasi a garantire una certa giustificazione, dopo le violenze e gli odi dei mesi scorsi. E si parla poco anche del futuro della Libia. Ce la faranno gli insorti a traghettarla verso la democrazia? Il dubbio assilla molti, anche perché in primo luogo fonti ben informate dicono che il partito islamista, come sta avvenendo in Egitto e Tunisia, si sta organizzando per avvicinarsi al potere; in secondo luogo – e non è una notizia nuova – la stragrande maggioranza degli insorti proviene dalle file dei sostenitori del Colonnello. Ci sono l’ex ministro della Giustizia, il capo dell’esercito, rappresentanti delle istituzioni o del clan di Gheddafi, ex appartenenti ad Al-Qaeda. Ma forse è troppo presto per affrontare questo discorso adesso. Ora è ancora il momento della battaglia finale, dagli esiti scontati (Gheddafi prima o poi verrà fatto fuori), ma sarà il sangue che accomunerà vinti e vincitori e che renderà la riconciliazione più problematica.
Non bisogna dimenticare che nei Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa – ma non solo lì – le fazioni che si fronteggiano respirano la stessa mentalità e finiscono per avere gli stessi modi e metodi di governo e di potere. Dicevamo che il futuro è già iniziato o quanto meno abbozzato senza che il passato sia alle spalle. Anzi, il passato ritorna e riaffiora dalle carte sequestrate dopo la presa del bunker. I militari dei servizi segreti non hanno fatto in tempo a catalogare, sistemare e portare via i documenti del regime, che essi sono caduti, almeno in parte, nelle mani dei giornalisti occidentali. E ciò che essi rivelano non fa onore né agli Usa e né agli altri Stati occidentali, tra cui l’Inghilterra. Siamo appena agli inizi delle indiscrezioni, ma le notizie trovano conferma. A partire dal 2003 il regime di Gheddafi ha cambiato rotta, partecipando alla lotta contro i terroristi – ad di là di qualche bordata di facciata contro i “nemici” occidentali – e aderendo all’invito ad abbandonare il rogramma di distruzione di massa contro nemici interni ed esterni. In poche parole, si sta scoprendo che Gheddafi collaborava con gli Usa e i suoi servizi segreti. Quando venivano catturati i terroristi islamici, i servizi segreti americani li portavano in Libia, consegnandoli al regime perché li interrogasse. Dietro l’assicurazione che sarebbero stati trattati con umanità li lasciavano nelle loro mani, certi che avrebbero fatto esattamente il contrario per estorcere loro con le buone o con la forza segreti e testimonianze. Era nei patti e ognuno rispettava il suo ruolo. I libici dovevano fare il lavoro sporco che gli americani non potevano ufficialmente fare. In un documento della Sicurezza Esterna, guidata per molto tempo da Mussa Kussa, gli americani fanno un elenco di 89 domande che dovevano essere rivolte ai terroristi. In un altro documento si dice: “Siamo in grado di consegnare Sheikh Musa alla vostra custodia, nello stesso modo che abbiamo usato per altri dirigenti del gruppo libico combattente (fazione di Al Qaeda).
L’attuale capo militare degli insorti, Abdel Hakim Belhaj, un tempo aveva legami con i leaders di Al Qaeda. Preso dagli agenti americani, fu consegnato al regime per gli interrogatori che avrebbero dovuto essere effettuati “in modo umano”. Il soggetto fu torturato prima dagli americani e poi dal regime di Gheddafi. Ironia della sorte: ora è lui che tratta con gli americani e le sue vittime sono i lealisti del Colonnello. Dai documenti è venuto fuori che gli americani suggerivano a Gheddafi parte dei discorsi che il Colonnello teneva in pubblico e che riguardavano la politica estera e i rapporti in Medio Oriente. Quando alcuni scienziati fuggirono dall’Iraq (2004), la Cia chiese e ottenne dalla Libia di poterli interrogare. Insomma, sta venendo fuori ciò che già si sapeva. Al di là delle dichiarazioni pubbliche, Gheddafi sotto sotto era un “alleato” dell’Occidente. Il regime libico era quel che era, corrotto e crudele, come ce ne sono tanti, che non per questo vengono bombardati. Resta il dubbio: Gheddafi è stato combattuto perché era un massacratore, perché il petrolio libico faceva gola a tanti o perché ad alcuni Stati mediorientali interessava abbattere un regime che si stava convertendo alla lotta contro il terrorismo islamico?