La Francia parla apertamente di intervento armato in Siria in base al Capitolo VII dell’Onu
Svolta della Francia sulla Siria. O meglio, non di svolta si tratta, visto che a parlare d’intervento prima era stato il nuovo presidente, François Hollande, in occasione dell’incontro del primo giugno con Putin, il quale già in quella occasione non aveva nascosto il suo disappunto. Si tratta di una scelta, quella di Fabius, ministro degli Esteri, che supera la risoluzione Onu, già rifiutata dal veto di Russia e Cina, per agganciarsi al Capitolo VII dell’Onu, il Capitolo che permise l’intervento in presenza di una situazione di belligeranza che coinvolgeva i bambini come vittime. Ora, Fabius si appella a quel Capitolo per invocare la no-fly-zone, cioè l’intervento armato sotto l’egida dell’Onu che formalmente non è un intervento, ma un contrasto all’aviazione militare che colpisce i civili.
Ultimamente, con l’invio degli osservatori Onu in Siria per verificare lo stato di attuazione del cessate il fuoco, ci sono stati attentati e scontri armati tra i rivoltosi e i soldati del regime, i quali si accusano a vicenda dei morti tra i civili. L’abbiamo detto più volte, il regime attribuisce la colpa agli insorti, questi ultimi al regime e ai suoi sostenitori. In sostanza si sta ripetendo esattamente quello che è avvenuto in Libia a suo tempo. Pare che ultimamente i bambini siano stati usati come scudi dai soldati pro Assad. Diciamo “pare”, perché le notizie provengono dal personale Onu, che comunque fa parte di Paesi schierati contro Assad. Quando c’è stato l’incontro Hollande-Putin, quest’ultimo, a Hollande che parteggiava per i guerriglieri contro Assad, rispose: “Perché parlate solo dei massacri del regime? Anche i guerriglieri commettono stragi, ma sui giornali occidentali non se ne trova traccia”. In effetti, in Tunisia ci sono stragi ogni giorno, e ce ne sono in Libia, ce ne sono in Egitto, ma non se ne parla nemmeno, perché a destra e a sinistra in Europa la parola “rivoluzione” suscita applausi, In Siria, come in Egitto, in Libia e in Tunisia lo scontro è tra la varie fazioni islamiste che fanno passare il dittatore di turno per mostro per scalzarlo dal potere e prenderne il posto.
Intendiamoci, Assad ha sulla coscienza vari delitti, come li avevano Gheddafi e Mubarack. Non sono o non erano certo stinchi di santi, il guaio è che chi vuole sostituirli è peggio di loro, per cui se di rivoluzione si parla, la deve fare il popolo. Solo così gli scontri si traducono in salto di qualità in fatto di democrazia. Si rimproverava Bush di voler esportare con la forza la democrazia. Se questo non è il metodo giusto – e non lo è – allora bisogna che se la vedono i siriani, altrimenti l’Occidente rischia di fare il mallevadore di altri regimi peggiori di quelli attuali. E non è la prima volta, anche per interessi di parte. Che la situazione in Siria sia delle peggiori, lo rivela il gesuita padre Paolo Dall’Oglio, da 30 anni in Siria, sostenitore della rivolta (e per questo osteggiato dalla gerarchia ecclesiastica e dal regime siriano), ma in procinto di lasciare quel paese perché il livello di scontro tra alauiti e sunniti ha raggiunto livelli da guerra civile lasciando i cristiani indifesi e vittime degli opposti estremismi.
E’ chiaro che la rivolta armata un obiettivo l’ha già raggiunto: additare la figura di Assad come mostro per costringerlo ad andarsene in qualche modo: o con le buone (se lo capisce, come avrebbe dovuto fare Gheddafi) o con le cattive, come è successo allo stesso Gheddafi. D’altra parte, i sei punti del cessate il fuoco di Kofi Annan non parlano di Assad, ma se fosse intelligente, lo capirebbe da solo. A scanso di equivoci, la nostra posizione è la seguente: Assad è un dittatore, come lo era il padre e come lo erano Gheddafi, Mubarack e in buona parte anche Ben Alì, ma in quelle latitudini la parola democrazia è sconosciuta, se a sostituire i dittatori saranno gli islamisti si cadrà dalla padella alla brace. Dopo di che, la Russia teme l’invadenza occidentale e per questo fornisce di armi il regime. La Francia di Hollande sta cercando di mettere in un angolo diplomatico Mosca, ma difficilmente quest’ultima cederà, per non ripetere una seconda Libia. Putin a Hollande, a Parigi, ha ribattuto chiedendo se “la Libia di ora è diversa da quella di Gheddafi”. Le notizie di scontri, di vendette, di torture, di morti, di fame, di confusione, fanno rispondere che non è affatto diversa. Il capo missione degli osservatori Onu, il generale Mood, norvegese, comunque, dopo gli ultimi massacri, ha sospeso la missione, attribuendo il mancato rispetto del cessate il fuoco “alla mancanza di volontà delle parti di cercare una transizione pacifica per alla spinta verso l’avanzamento di posizioni militari”.