Alcuni video diffusi dall’opposizione accusano il regime di Assad di aver bombardato nella notte tra il 20 e il 21 luglio alcuni quartieri a est di Damasco con agenti chimici (gas nervino), uccidendo circa 1300 persone, tra cui civili, donne e bambini. “Medici senza frontiere” parlano di 3500 vittime. E’ difficile dire se si tratta di morti provocate dal regime o dagli stessi ribelli o dalla frangia terroristica dell’opposizione, tuttavia la strage c’è stata ed ha suscitato orrore nel mondo.
In Europa ci sono state reazioni diverse: si va dai Paesi che non si pongono affatto il problema a quelli che auspicano una soluzione diplomatica (la Germania) e a quelli che propendono per una “risposta forte”. Quest’ultima posizione è quella del ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, il quale, però, non va oltre. Tutti sanno che la situazione è bloccata. Nessuna opzione ha la possibilità di successo se non è condotta dagli americani. Già mesi fa la Turchia era per la no-fly-zone, ma poi non se ne è fatto nulla. Lo stesso Obama aveva tracciato la cosiddetta linea rossa, oltrepassata la quale ci sarebbe stata la guerra. E stata oltrepassata la linea rossa? Mesi fa si era già parlato di gas nervino, ma poi la notizia si è sgonfiata. Ora, con i video girati recentemente la questione è tornata d’attualità. Obama ha dato ordine all’intelligence di verificare la fondatezza della notizia. Dal canto suo, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha chiesto ad Assad di dare il via libera alle verifiche dell’Onu, il presidente siriano si è impegnato ad offrire “cooperazione” agli ispettori Onu, ma gli Usa hanno pochi dubbi sull’uso delle armi chimiche e pensano che siano già state distrutte, anche se gl’ispettori potrebbero ancora raccogliere qualche utile elemento di prova.
Negli Usa da tempo si lavora attorno ad alcune opzioni. C’è un primo scenario che consiste nell’intervento di un certo numero di consiglieri che addestrano le truppe dell’esercito libero (opposizione militare). E’ possibile che questo scenario “minimo” sia già in atto nella base bunker ad Amman. La seconda opzione consiste in una serie di bombardamenti limitati a caserme e difese anti-aeree del regime, con costi di svariati miliardi di dollari. La terza è la creazione della no-fly-zone, sostenuta dal repubblicano McCain, con costi che si aggirano su un miliardo al mese per almeno un anno. L’ultima opzione è un piano per la distruzione dei depositi di armi chimiche con raid aerei e con l’uso delle truppe, pur se non si tratta di un’invasione vera e propria.
Ci sono due ostacoli alla scelta di ognuna di queste opzioni, ad eccezione della prima, magari già in atto e che comunque non sembra che possa avere i successi sperati. Il primo ostacolo è rappresentato da Obama, che anche in presenza di un accertato uso di armi chimiche da parte del regime sarebbe riluttante ad intervenire. Dunque, gli Usa in Siria fanno e farebbero il minimo indispensabile, che non è sufficiente, come si è visto finora. Il secondo ostacolo, ben più grande, è l’opposizione di Russia e Cina che in sede di Consiglio di sicurezza dell’Onu da tempo hanno già posto il veto e non sono disposti a toglierlo. Dunque, se un qualsiasi Paese, fossero anche gli Usa o la Francia, decidessero d’intervenire con un’azione militare, ci sarebbe la reazione immediata della Russia, della Cina e soprattutto dell’Iran.
Dunque, la crisi siriana dovrebbe essere risolta tra le forze in campo, la quali farebbero bene a trovare una soluzione diplomatica, benché difficile, piuttosto che continuare a far della Siria un cumulo di macerie fumanti. Ma siamo sicuri che quest’ultima sarà purtroppo la prospettiva più probabile.