Mentre nel Medio Oriente gli Stati si dividono, Netanyahu, Barack e Mofaz si uniscono
Israele, si sa, è l’unico Paese del Medio Oriente dove si vota democraticamente. La notazione sarebbe oltre che ovvia perfino banale se i suoi detrattori in Europa e nel mondo non oscurassero quest’aspetto che riguarda i popoli vicini e dei dintorni. La prova è che se in Europa non si fa dovutamente attenzione a determinate formalità, si viene subito tacciati di reazionari, mentre calpestare i diritti fondamentali nei Paesi arabi e mediorientali la si considera un fatto assolutamente normale. Diciamo questo per aggiungere che Israele è un piccolo Stato circondato da nemici. Attenzione, non da avversari che lo criticano, ma da nemici, cioè da governi e popoli che vorrebbero cancellarlo dalla faccia della Terra. Questi due concetti sono importanti per spiegare un fatto avvenuto in Israele recentemente e che va in controtendenza rispetto a ciò che succede altrove. Sappiamo quello che sta succedendo in Siria, che se fallisce il cessate il fuoco si troverà nel mezzo di una guerra civile sanguinosa; sappiamo quello che sta accadendo in Egitto, dove alla “primavera araba” sono seguiti scontri e odi che probabilmente sono destinati a esplodere nei prossimi mesi, quando il potere sarà occupato dai Fratelli Musulmani; sappiamo quel che avviene in Iran, in Afghanistan e dintorni. Ebbene, in Israele si doveva andare alle elezioni anticipate fra circa quattro mesi e invece esse sono state cancellate: non per antidemocraticità, ma per un accordo “esploso” dopo un’evidente fase di segretezza e di chiarimenti.
E’ stato annunciato, infatti, che il governo formato da Netanyahu e sostenuto dai socialisti di Ehud Barack, ministro della Difesa, diventerà un governo di unità nazionale perché vi entrerà anche Kadima, la formazione di Saul Mofaz nata in seguito all’abbandono forzato di Ariel Sharon, colpito anni fa da un ictus da cui non si è mai ripreso. Insomma, in Israele i tre maggiori partiti si sono accordati per gestire questa fase delicata della situazione internazionale. Quando ci sono venti di crisi, Israele non può dividersi – questo è il messaggio – altrimenti farebbe il gioco dei suoi nemici che lo vogliono morto. Ora la coalizione potrà contare su una maggioranza di 94 deputati su 120, una maggioranza schiacciante. L’accordo tra Netanyahu e Mofaz ha sorpreso perché i due leader negli ultimi anni si erano scambiate frecciate avvelenate, ma non ha sorpreso gli esperti di politica internazionale. La domanda è sempre la stessa: cosa deve fare Israele in questa fase delicata? Deve aspettare un anno almeno, l’elezione del nuovo presidente degli Usa (così vuole Barack Obama) oppure deve accelerare l’attacco contro l’Iran prima che sia troppo tardi? Evidentemente, in Israele la ripetizione della guerra fredda non convince più di tanto. La guerra fredda – cioè quella situazione di guerra non guerreggiata per timore che un attacco sovietico provocasse una risposta americana (e viceversa, ma meno realistica) creando una distruzione totale – si adatterebbe al Medio Oriente? La risposta, pur con tutte le cautele, è no, evidentemente. La guerra fredda tra Urss e Usa è stata possibile non per la paura immediata di una distruzione totale, ma perché Usa e Urss erano due Stati geograficamente grandi e lontani, o relativamente lontani. Un attacco sovietico sarebbe stato intercettato e contrastato prima che arrivasse a destinazione e comunque l’Urss sapeva che non sarebbe stata in grado di far fronte ad una guerra nucleare ed economica. Erano due Paesi forti militarmente, ma l’uno (gli Usa) più forti e solidi anche economicamente dell’Urss.
In Medio Oriente la situazione sarebbe differente. Le distanze sono ridotte, il territorio israeliano è piccolissimo rispetto all’estensione dell’Iran, gli Usa sono circondati dagli oceani, il piccolo Israele circondato da nemici.Sono questi gl’interrogativi di Israele e dei suoi governanti, interrogativi condivisi, pur con molte cautele, da tutti, dai socialisti come dai conservatori ed ora dai moderati di Kadima.
Noi, ovviamente, non sappiamo quali sono i termini precisi degli accordi e cosa c’è sotto, ma possiamo immaginare facilmente che un accordo è fatto per affrontare insieme una situazione. Quella di Israele è difficile per le ragioni dette, prepararsi a scelte difficili, da prendere o da subire, mostra previdenza e lungimiranza, due doti importanti nei momenti di bisogno.