Appena riconquistato il trono d’Armenia, in effetti, Tiridate si propose di reintrodurvi le tradizioni patrie schiacciate dallo zoroastrismo; e, conformemente agli usi tradizionali, volle ringraziare con una solenne cerimonia la dea Anahita, il cui tempio si trovava ad Eriza. Tutto il popolo lo accompagnava entusiasta, per rendere l’antico omaggio alla divinità, e i cortigiani le offrirono doni ed incenso. Tranne Gregorio: che da tempo portava avanti un’opera di proselitismo cristiano; e che, dopo aver assistito con ribrezzo al rituale, quando giunse il suo turno fieramente rifiutò. Al che Tiridate, infuriato, lo fece convocare, e gliene chiese le ragioni.
Gregorio sapeva bene che il suo sviluppo, negli anni dell’esilio, era stato del tutto diverso da quello del re, di cui aveva condiviso l’infanzia e l’amor patrio, ma dal quale lo dividevano ormai profonde convinzioni, e sociali e religiose. Capiva la spinta del sovrano A ripristinare le antiche memorie, e una volta l’avrebbe assecondato e appoggiato. Ma troppa evoluzione aveva subito negli anni dell’esilio, troppe occasioni aveva avuto per riflettere sulle implicazioni della fede e sulla sua autentica natura; troppe macerazioni l’avevano convinto che il culto politeistico non poteva competere con la fede in un Dio unico, il cui Figlio si era immolato per la salvezza dell’umanità. E benché combattuto tra lealtà e realtà, ritenendo che la verità debba sempre essere ribadita, pur consapevole del pericolo che correva, apertamente osò dichiarare il proprio disaccordo.
“Quando abbandonai l’Armenia, a Cesarea di Cappadocia, dove mi rifugiai, fui educato dal presbitero Eutalio. Là, contrassi il matrimonio con la nobile Mariam, dalla quale ho avuto due figli che sono la luce dei miei occhi: Vrtanes e Aristakes; e da allora non ho avuto altro desiderio che introdurre la fede cristiana nella mia terra natale. Ora tu mi reclami obbedienza a un culto che non solo sento profondamente estraneo, ma che so con certezza errato. E io, che pure sarei stato disposto a sacrificare la mia vita per aiutarti a riconquistare il trono, ora non posso seguirti in questa per me incondivisibile ripresa del paganesimo.”
“Avresti forse preferito il rituale opprimente dei persiani? Ti seduce il fanatico culto che ci impose Shapur, così contrario alla nostra libertà e alla devozione alle divinità che reggono le sorti del nostro paese, che ci hanno concesso di rivedere, e alle quali ora va tutta la nostra riconoscenza?”
“No, non intendo il culto del profeta persiano. Un altro, ben più elevato sentimento religioso è penetrato in me. La verità si è fatta strada nel mio spirito allora offuscato, ed ora conosco la luce. Ed è quella luce che intendo trasmettere al mio popolo, perché possa incamminarsi con me, dopo aver conseguito la libertà politica, verso quella dello spirito, che è la più preziosa e più grande!”
“Se non quella iranica, allora, quale altra religione ti proponi di introdurre?”
“Pensavo che ti fosse chiaro, o re. L’unica, la sola, vera religione, che sgorga dalla parola del Cristo, nostro Signore!”
“Il delirio cristiano? Perché vuoi propagare quella credenza insana, mentre io, che la so non meno fanatica dello zoroastrismo che ci ha oppressi per un trentennio, cerco di ripristinare il libero culto dei nostri padri?”
“Ascoltami, o re,” rispose Gregorio riassuntivo. “Noi due abbiamo la stessa età, e abbiamo condiviso lo stesso destino. Ero ancora un fanciullo, quando da mia madre ricevetti un primo insegnamento, e seppi del vangelo di Cristo, che i beati apostoli Taddeo e Bartolomeo avevano introdotto in Armenia. Già lo seguivo quando tuo padre ordinò la strage della mia famiglia, proprio perché si era fatta cristiana… “Fu questo allora a indurlo all’assassinio del mio! Bello il tuo Cristo, se ispira l’uccisione dei propri sovrani e benefattori!”
“No, ti sbagli! Non fu mio padre Anak, come hai sempre creduto, a uccidere il tuo. È vero invece il contrario: fu tuo padre a distruggere la mia famiglia che si era convertita al cristianesimo. E io mi salvai a stento, grazie alla mia nutrice, che mi portò a Cesarea, dove fui ordinato sacerdote.
“Se provavi tanto odio contro mio padre, che accusavi di aver ucciso il tuo, perché mi seguisti nell’esilio, invece di uccidermi a tradimento, tutte le volte che avesti occasione di farlo?”
“Perché allora non sapevo quello che so ora. E quando l’invasore ti cacciò dal regno, egli divenne al tempo stesso il tuo e il mio nemico. Solo dopo ho appreso la verità sulla fine della mia famiglia. E da allora questo ritorno in patria ha significato per me anche un confronto decisivo con te. Perché ora so chi fu il vero sterminatore della mia gente.”
“Tu menti! Sai bene che fu tuo padre, con la complicità di altri signori che volevano usurpare il trono, a vendere il mio a Shapur, che lo fece trucidare.”
“Credi quello che vuoi: ti ho già spiegato che non fu così. Ma questo ormai poco importa. Quanto a me, ho amato il mio popolo e la mia patria, e ho perdonato al carnefice della mia famiglia. Da tempo ho imparato ad ascoltare la voce della misericordia e dell’amore, che si è poco a poco sostituita a quella della rivalsa. Ed è essa che mi ha impedito di compiere su di te la vendetta, anche quando la tua fiducia ti metteva alla mio portata.”
“Una nobile anima lava sempre le azioni turpi che sono state commesse su se stessa e sui propri cari! Che cos’è questa vile sostituzione che tu chiami misericordia, e che più propriamente si chiamerebbe viltà?”
“Mi sarebbe troppo difficile spiegarlo al tuo cuore che conosce solo il riscatto e la rivalsa. Eppure, credimi, il perdono vale più di mille rivincite. Allora, la tragedia, che dopo di me aveva colpito anche te, ci affratellava nel dolore; e se le circostanze non ci avessero separati, ti avrei seguito in capo al mondo. Ma pure, ora che ci siamo ritrovati, non ti asseconderò in questo atto blasfemo che mi costringerebbe a rinnegare il mio Dio: quel Dio che per anni ha riempito il mio vuoto e lenito il dolore di questo cuore.”
“Se le tue parole sono sincere, e se è vero che in te il dolore è placato, e hai sostituito l’odio col perdono, cosa ti impedisce, invece di desiderare la mia morte, di sottometterti ai miei ordini, e offrire sacrifici a chi ci ha consentito il ritorno?”
“Se si trattasse di un semplice atto di obbedienza, la mia condizione di umile suddito me lo imporrebbe, e non esiterei a piegarmi a te, di cui pure un giorno condividevo l’amicizia. Ma sacrificare ai tuoi dèi mi costringerebbe a rinnegare quel Dio nel cui amore ho cresciuto i miei figli, e per il quale mi sono dedicato ad opere di misericordia.”
“Dopo tanta sofferenza e strazio comune, hai dunque deciso di seguire un’altra via, proprio adesso che ci siamo ritrovati, e insieme potremmo dare felicità al nostro popolo che tanto ha sofferto e tanto la merita? Vuoi abbandonarlo proprio ora che ci sono le condizione per il suo bene?”