Due fratelli ceceni negli Usa qualche settimana fa hanno fatto una strage in nome dell’Islam. Non più di dieci giorni fa due inglesi di origine nigeriana hanno accoltellato un giovane soldato inglese di 25 anni che usciva dalla caserma, accoltellandolo e decapitandolo in modo orrendo. Qualche giorno dopo un analogo fatto di sangue è successo a Parigi, dove un soldato stava eseguendo il suo turno di vigilanza quando è stato assalito alle spalle con un coltello o un taglierino. Il soldato, per fortuna, non è morto, ma solo perché la lama non è arrivata in profondità e anche perché l’assalitore, un nordafricano secondo le testimonianze, è dovuto fuggire in fretta per evitare la reazione degli altri soldati. In Francia atti di terrore da parte di islamici sono già accaduti in passato. A Milano, giorni prima, un clandestino ghanese in libertà grazie alla domanda di asilo con un piccone ha ucciso tre persone e ferito altre. Nella civilissima Svezia c’è stata una rivolta ad opera di immigrati turchi e africani, come quella che si verificò a Parigi qualche anno fa.
Dagli episodi prima citati si capisce chiaramente che negli Usa, a Londra e a Parigi gli autori dei crimini hanno agito in nome dell’Islam, in Svezia per motivi sociali, a Milano per motivi sociali e per una componente di follia. Il che significa che già da solo il motivo religioso ha un potenziale di deflagrazione enorme, quando poi si aggiunge anche il motivo sociale, con la durezza della crisi che sta creando drammi in centinaia di migliaia di famiglie, allora il combinato disposto di tutte queste motivazioni moltiplica drammi e paure e rischia di accendere tensioni e violenze. Ma c’è di più: gli attentatori di Londra hanno detto che i loro atti erano una reazione a ciò che i soldati occidentali stanno facendo in Afghanistan e altrove. Le crisi di follia mentale possono capitare a chiunque e per molti versi difficilmente sono prevedibili, ma gli attentati in nome dell’Islam e le tensioni sociali non sono ineluttabili.
Il recente discorso di Obama sulla necessità di una svolta nella lotta al terrorismo internazionale deve far capire che l’Occidente non può esportare la democrazia dove i modelli sono diversi, né tanto meno lo può fare con la forza. Ognuno deve risolvere i propri problemi in casa propria. Bisogna entrare nell’ordine di idee che la pace non si fa e non si mantiene con la guerra.
Abbiamo detto che i contrasti di religione possono essere aggravati dalla crisi economica e dalle sue conseguenze. Una ragione in più perché la nostra democrazia comporti scelte serie. Non è possibile far entrare centinaia di migliaia di immigrati se non si è in grado di dar loro un lavoro, uno stipendio, una casa. Se si aprono le porte in nome di una falsa solidarietà si rischia di creare tensioni pericolose, soprattutto in tempi di crisi; se si lascia entrare chi può ricevere un lavoro, uno stipendio, una casa, allora si lavora per l’integrazione, per l’arricchimento reciproco. L’esempio Svizzera insegna.
Non solo. La democrazia non significa solo diritti, comporta anche doveri. Non si capisce perché se uno offende qualcun altro o un altro popolo con frasi ingiuriose o razzistiche debba essere perseguito per legge, come, a scanso di equivoci, è giusto che sia, mentre i seminatori di odio possono farlo liberamente, come una volta avveniva nelle moschee ed ora avviene all’interno dei piccoli gruppi, numerosissimi sul territorio di ogni Paese occidentale. La democrazia deve essere vigilante. Esiste il principio della reciprocità: ognuno è tenuto a rispettare la cultura e la civiltà dell’altro, deve valere per tutti, non solo per una parte e non solo nei nostri Paesi, anche in quelli di provenienza degli immigrati. Se deve essere sacrosanto nei nostri Paesi che si professi ogni religione, anche concedendo spazi e strutture, deve esserlo anche per i cristiani negli altri Paesi, altrimenti non è parità e reciprocità, ma debolezza e prevaricazione.
Se i problemi non si affrontano con serietà ed equilibrio, cioè all’insegna dell’apertura ma anche del rispetto delle regole e delle persone, la situazione, se s’aggrava nei tempi duri che stiamo vivendo, può diventare molto pericolosa.