L’Istituto Cattaneo di Bologna analizza i dati e i flussi elettorali e ne viene fuori un quadro impietoso dei partiti italiani
A pochi giorni dal voto amministrativo parziale, si può dire che i ballottaggi siano passati in second’ordine. Il quadro emerso è già chiaro, i ballottaggi saranno solo una conta dei sindaci. Quello che conta sono le valutazioni politiche che si sono tratte o si stanno traendo dal voto. All’indomani della pubblicazione dei dati e dei flussi elettorali, la situazione si è chiarita ancora di più rispetto all’annuncio dei risultati, e si tratta di una conferma delle prime impressioni. Il vero vincitore è stato Grilli con il suo Movimento cinque stelle”, che ha conquistato 200 mila voti, in gran parte nuovi. Per il resto, secondo l’analisi dell’Istituto Cattaneo di Bologna pubblicato sul Corriere della Sera del 9 maggio, hanno perso tutti in termini di voti rispetto alle amministrative del 2010, chi più (come il Pdl che perde circa 175 mila voti), chi meno (come il Pd che ne ha persi 91 mila). E’ crollata la Lega (meno 145 mila), ha perso, seppure non in maniera clamorosa, Di Pietro (meno 55 mila), il Sel e federazione (meno 12 mila). Solo l’Udc e il terzo polo non hanno perso, anzi, hanno ottenuto 8 mila voti in più. Ciò detto, va aggiunto che in termini di sindaci il Pdl ha ricevuto una batosta, ma in termini di voti il colpo è stato meno duro di quello che a prima vista potrebbe apparire, per la buona ragione che erano tante le liste civiche riconducibili al Pdl che si sono presentate accanto al simbolo di partito sottraendogli voti, che peraltro – ed è questo un elemento di giudizio importante -.non sono andati altrove, né al Pd, né all’Udc o al terzo polo. Sono andati o a Grilli o al mare, cioè non hanno votato. Anche il Pd, pur guadagnando sicuramente più sindaci rispetto a cinque anni fa, ha perso rispetto al 2010 a causa dell’astensione (in parte minore) e alla fuga verso Grilli (in parte maggiore. I voti della Lega, come pure quelli dell’Idv o non sono andati a votare o, soprattutto, se ne sono andati verso Grilli.
Dal punto di vista politico, la foto di Vasto (Bersani, Di Pietro, Vendola) trae una netta conferma. Anche se molti nel Pd storcono il naso, perché c’è la parte riformista che non vede di buon occhio un’alleanza a sinistra capace di vincere alle elezioni (Prodi insegna) ma incapace di governare. C’è da dire che rispetto al 1996 e al 2006 quell’area si è assottigliata. In poche parole, con l’attuale legge elettorale il Pd-Idv-Sel riuscirebbe sicuramente a vincere per il consistente premio elettorale che comporta per la coalizione maggioritaria, ma difficilmente riuscirebbe a stare unita. E infatti, i malumori non sono mancati: si è levata la voce del sindaco di Firenze contro quest’alleanza, ma anche quella ben più autorevole di Veltroni, che invoca un’alleanza riformista che non sembra trovarsi nello schieramento della foto di Vasto. Il Pd, decisamente, è alle prese con gli stessi problemi del 2008. In ogni caso è chiaro che all’interno del centrosinistra Di Pietro con qualche uomo simbolo riesce a fare il sindaco di qualche città importante come Napoli e Palermo, ma il giustizialismo e la demagogia non pagano più di tanto. La piccola costellazione dei comunisti veleggia sul 2-3%, anch’essa capace di mettere il bastone tra le ruote del Pd (Pisapia a Milano, Doria a Genova, lo stesso Vendola in Puglia), ma non di offrire una prospettiva se non quella della ruota di scorta a sinistra del Pd.
Lasciamo stare la Lega, che ha problemi politici interni di immagine, di linea e di convivenza, e che potrà dire di nuovo la sua quando li avrà risolti, quello che emerge in maniera chiara dalle elezioni è il fallimento del terzo polo. Lo dicemmo subito, anche perché l’Udc si è stabilizzata sul 6-7 per cento al massimo da almeno dieci anni a questa parte. Né l’alleanza con Berlusconi fino al 2006, né l’opposizione all’ex premier, né il sostegno incondizionato a Monti hanno tolto o dato nulla all’Udc, anzi, come era facilmente prevedibile, tre (Udc-Fli-Api) più uno (terzo polo) fanno due, non tre o quattro. In sostanza, queste elezioni, dopo quelle di giugno anch’esse parziali, hanno confermato che l’Api di Rutelli e Fli di Fini non riescono a mettere insieme nemmeno il due per cento dell’elettorato: uno smacco per il presidente della Camera che ambiva a distruggere Berlusconi (e in parte ci è riuscito) e a sostituirlo (con le percentuali che si ritrova, rimpiange sicuramente il 5% del vecchio Msi. Le ambizioni di Casini, con Fini e Rutelli, di aggregare un terzo polo a vocazione maggioritaria è miseramente fallita. La caduta di Berlusconi voluta da Fini e Casini ricalca un po’ la caduta di Craxi voluta dagli epigoni del Pci: come i voti del leader socialista andarono al 96 per cento a Forza Italia, così ora i voti di Berlusconi o sono andati verso Grilli o si sono astenuti o ancora si sono (momentaneamente?) parcheggiati nelle liste civiche in attesa degli eventi. Il dato politico evidente è che non sono andati per nulla verso Casini e il terzo polo, con un altro dato politico evidente: il vecchio centrodestra senza la Lega (Berlusconi, Casini. Fini) che totalizzava quasi il 40% dei voti (An 12%, Udc circa 6%, Forza Italia circa 22%), si è ritrovato tra un mucchio di macerie, perché la guerra a Berlusconi ha distrutto lui ma anche chi gli ha fatto guerra sperando di sfilargli gli elettori.