Il 10 gennaio alla cerimonia del giuramento davanti al Parlamento il presidente venezuelano non si è presentato, ma è stata rinviata sine die
Il 10 gennaio era la data entro cui Hugo Chavez avrebbe dovuto presentarsi per giurare in qualità di presidente davanti al parlamento eletto nel mese di ottobre e nel quale aveva la maggioranza assoluta, conquistata dopo quattro tornate elettorali. Invece no, Chavez non si è presentato, non poteva presentarsi, gravemente ammalato di tumore alla regione pelvica che lo ha colpito tempo fa. Per guarire e vincere il cancro Chavez era andato a Cuba e si era sottoposto a quattro interventi, l’ultimo dei quali è stato il più delicato, dal quale non si è più ripreso.
Non è stato il presidente ad annunciare la sua assenza, è stato il vice presidente designato, Nicolas Maduro, suo fratello, il che significa che Chavez è alla fine. Il presidente della Camera Cabello ha indetto la settimana scorsa una grande manifestazione a sostegno del presidente malato, manifestazione che certamente non gli ridarà la vita, ma non è questo il punto. La manifestazione è non tanto a favore di Chavez, quanto contro l’opposizione, per la quale, al di là del fatto umano, l’assenza del presidente eletto vuol dire che è decaduto. Il Parlamento, però, malgrado la Costituzione sia chiara, ha approvato una risoluzione in base alla quale l’investitura è sospesa, quando tornerà – se tornerà – potrà giurare ed essere dichiarato in carica. Pochi pensano, però, che possa farcela, a meno che non avvenga un miracolo.
All’oceanica manifestazione hanno partecipato anche il boliviano Morales e l’uruguayano Moujica. Si chiude così la parabola umana e politica di un uomo che è stato un dittatore dai tratti coloriti e umani. Hugo Chavez ha vinto le elezioni quattordici anni fa. Il Venezuela era grande e povero, con pochi grandi ricchi e tanti poveri. Le cose non sono cambiate di molto, perché è più facile parlare che realizzare ma è innegabile che, forte del petrolio e degli alti prezzi del greggio che gli ha fatto incassare molti dollari, ha migliorato le condizioni dei diseredati iniziando un programma di costruzione di case popolari, portando acqua e luce dove prima non c’era nulla. Ha cercato anche, con l’aiuto di Cuba, di progettare un embrione di servizio sanitario nazionale, ma poco è stato fatto e molto resta da fare.
Hugo Chavez, con l’aria ma anche con l’entusiasmo populista che lo ha sempre caratterizzato ha cercato di risollevare i poveri del suo Paese, i quali lo amano e continueranno ad amarlo, anche se poveri erano e poveri restano. Conta molto il fatto che per primo comunque li ha tenuti al centro delle sue preoccupazioni. Il Venezuela è diviso in due: chi è contro Chavez e chi è a favore. Alle ultime elezioni ha vinto abbastanza bene se si tiene conto che era la sua quarta elezione. Il fatto è che ha esercitato il potere in modo ambiguo. Da una parte ha assicurato un certo livello di democrazia con la partecipazione alle elezioni di più di un partito, dall’altra ha esercitato il potere con i modi di un dittatore, infischiandosene delle istituzioni e delle regole della democrazia. Chavez, malgrado la lunga durata del suo potere, non è riuscito ad eliminare la corruzione diffusa e non è riuscito a dare al Venezuela un tasso di legalità accettabile, ricorrendo egli stesso, in periodo elettorale, a minacce e a brogli. Con Chavez finirà probabilmente un sogno, quello di formare una specie di unione di Paesi (Venezuela, Brasile, Ecuador, Bolivia) governati dal socialismo. Altrove, come si sa, il socialismo collettivista è fallito amaramente tra fiumi di miseria e di sangue; in Centro e Sud America l’ideologia socialista ha rappresentato una speranza e comunque un impegno. Non bisogna dimenticare che prima, con i regimi fascisti, le condizioni erano ancora peggio. Hugo Chavez è stato un campione di antiamericanesimo, nel senso di anti Usa, al punto di allearsi con tutti i regimi che hanno per nemici gli Stati Uniti. Si spiega così il rapporto stretto tra lui e il presidente dell’Iran o con quello della Corea del Nord. Si è ispirato al motto: i nemici del mio nemico sono miei amici.
La parabola politica di Chavez è quella tipica di un personaggio che non bada alle regole e ai modi quando si tratta di seguire un’idea precisa: il miglioramento delle condizioni dei poveri del suo Paese, con tutti i rischi che un potere esercitato all’insegna del populismo comporta. Ma c’è anche la parabola umana, che ne fa un uomo degno di rispetto e di commozione.
Hugo Chavez, uomo potente e sovrabbondante, all’apice della sua forza fisica e politica, è stato colpito da un tumore che, come a tutti, anche a lui ha fatto paura, rendendolo debole e umano. Lui, capo di un partito e di un Paese, non ha esitato a confessare le sue paure e le sue speranze. Quando è andato il Papa a Cuba, lì c’era anche Hugo Chavez, non in quanto capo di Stato, ma in quanto pellegrino che chiedeva la benedizione del Papa, vicario di Cristo in Terra. Non ricordiamo se avvenne prima o dopo l’incontro con il Papa, ma Chavez ha elevato pubblicamente e accoratamente una preghiera a Dio, dicendo “Signore Gesù, per favore, dammi ancora da vivere”. Il male lo sta divorando, ma se il suo popolo lo piange, vuol dire che al di là degli errori commessi è stato un grande leader.