Abu Mazen chiede al Consiglio di sicurezza dell’Onu il riconoscimento dello Stato della Palestina con i confini di prima del 1967 ma il voto fra 35 giorni, non è scontato per il veto degli Usa
Alla fine, il vecchio Abu Mazen non ha ascoltato né gli amici (o finti tali come Hamas) che giudicavano la mossa poco avvertita e senza uscite, né i nemici (o presunti tali come Israele), che gli chiedevano di riaprire i negoziati interrotti, eternamente interrotti, per arrivare a un negoziato serio, poi ad un accordo condiviso, e infine al riconoscimento dello Stato della Palestina in maniera ufficiale. Non ha dunque ascoltato né gli uni e né gli altri e venerdì 23 settembre ha presentato ufficialmente all’Onu la richiesta della dichiarazione dello Stato di Palestina con un discorso che ha galvanizzato i palestinesi incollati davanti ai televisori nelle loro case o anche nelle piazze. Abu Mazen ha detto tre volte “basta”, “è ora che i palestinesi ottengano libertà e indipendenza”, facendo notare che i negoziati si sono interrotti perché gli insediamenti nei territori occupati sono continuati senza interruzione fino ad ospitare con case e fattorie circa 500 mila coloni israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, territori occupati da Israele in seguito alla guerra dei Sei Giorni di fatto dichiarata e persa dall’Egitto, dalla Siria e dal Libano nel 1967.Dalla dichiarazione d’indipendenza dello Stato di Israele da parte dell’Onu nel 1948, che de facto e de iure sconvolse l’allora Palestina, all’interno del cui territorio venne ritagliato quello di Israele, quest’ultimo ha creato il suo Stato, mentre la Palestina non è riuscita a creare il suo secondo i nuovi confini. La guerra dei Sei Giorni fece il resto. Da allora, infatti, il problema di Israele è sempre stato la sua sicurezza, circondata da Paesi arabi che lo vogliono cancellare dalla carta geografica, secondo l’espressione del presidente iraniano Mahamud Ahmadinedjad. Se fino all’anno scorso l’Egitto, sconfitto nella guerra dei Sei Giorni, era diventato “amico” di Israele, con la “primavera araba” e la cacciata di Mubarack è di fatto diventato non amico, anzi, per quanto i trattati non siano stati stracciati, la situazione in Egitto è cambiata al punto che ha permesso all’Iran di attraversare il Canale di Suez e di minacciare Israele via mare e alle forze ostili a Israele di minacciarlo apertamente. Se si considera che la “primavera araba” probabilmente aprirà le porte ai Fratelli musulmani anche in Tunisia e in Libia e che in Siria la situazione non è delle migliori, allora si capisce che la sicurezza di Israele non è una parola astratta ma una realtà drammaticamente concreta. E allora? Allora un punto è chiaro: i negoziati vengono ripresi per poi naufragare sotto la spinta delle reciproche diffidenze e per procrastinare una situazione di perenne pre-guerra, di attacchi e di rappresaglie. Adesso, Abu Mazen dice che la dichiarazione unilaterale dello Stato della Palestina ha lo scopo innanzitutto di uscire da un tunnel senza uscita: una volta avuta l’ammissione del 193° Stato sovrano all’Onu, i negoziati potranno riprendere tra due Stati sovrani, con tutti i vincoli che ciò comporta. Di questo avviso è anche Amr Moussa, segretario della Lega araba fino al giugno scorso ed ora candidato alla presidenza dell’Egitto, come altri autorevoli membri del mondo arabo, come il Segretario generale dell’Organizzazione della Conferenza islamica, Ekmeleddin Ihsanogiu, che ha dichiarato: “Dopo la dichiarazione dei due Stati (1948) uno vicino all’altro, uno è diventato realtà, l’altro no. È tempo di risultati”. Dicevamo che con la richiesta di Abu Mazen il dado è tratto. Passerà del tempo prima che si arrivi ad un voto, ma per salvare lo Stato della Palestina e la sicurezza di Israele già si stanno delineando i compromessi, in particolare quello di Sarkozy, che propone di ammettere la Palestina all’Onu ma per il momento solo come osservatore senza diritto di voto. La proposta, in realtà, è solo per tenere in piedi il dibattito. Più concretamente c’è chi propone una Palestina smilitarizzata, per offrire e garantire sicurezza a Israele. Ma la Palestina sovrana potrà mai accettare una proposta simile senza venir meno alla sua sovranità? E soprattutto, Israele farà il passo di bloccare la costruzione di nuove case in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, come chiede Abu Mazen per riprendere i negoziati? Sono tutte domande che per il momento non hanno risposte ma che potranno averle nel corso delle prossime settimane. È infatti in corso da lunedì 26 il dibattito al Consiglio di sicurezza, che durerà 35 giorni, dopo di che ci sarà il voto. Potrà esserci anche il veto degli Usa e quindi il blocco della situazione, ma nel frattempo, appunto, il dibattito potrà riservare delle sorprese.