La sua filosofia: sport, colore e tanta ironia
Nove decenni ricchi di passione, pieni di forti affetti familiari, di sport, di moda, di tanta ironia e anche di quel sentimento nostalgico che i profughi dalmati portano nel cuore: Ottavio Missoni, detto Tai, festeggia i suoi 90 anni e per l’occasione è uscita anche la sua autobiografia ‘Una vita sul filo di lana’, scritta con il giornalista Paolo Scandaletti ed edita da Rizzoli.
Il titolo evoca le due passioni di Tai, campione di atletica e creativo imprenditore della maglieria.
Quel filo di lana, che tante volte egli aveva spezzato vittorioso nella sua giovanile carriera atletica, è rimasto per sempre nel suo destino e in quello della sua famiglia, tutta impegnata oggi nel grande marchio che porta il loro cognome.
La storia di Ottavio Missoni è davvero unica e continua ad affascinare il mondo anche perché emblematica di un certo modo tutto italiano di essere imprenditore.
Nato nel 1921 a Ragusa (ora Dubrovnik), Ottavio è cresciuto a Zara. Si considera triestino d’adozione ma si sente dalmata e afferma: “Noi della costa non siamo né danubiani né balcanici, e se qualcuno oggi la chiama Croazia del Sud io insisto a dire che è Dalmazia”.
I ricordi sono quelli di un esule: “L’ultimo Natale a Zara – ha raccontato – è stato quello del 1941, poi sono andato militare. Quando ci furono i bombardamenti degli anglo-americani, io ero prigioniero in Egitto, mio padre e mio fratello erano imbarcati. A casa era rimasta mia madre che, ai primi del 1944, è fuggita da sola a Trieste lasciando tutto, ma portandosi via il pianoforte, che ancora abbiamo”.
Il resto andò perduto, anche la casa di famiglia a Ragusa. Dai 16 ai 32 anni, ma con la parentesi della prigionia, Ottavio è stato campione di atletica, nei 400 metri piani e a ostacoli: ha vestito 23 volte la maglia azzurra, ha conquistato otto titoli italiani e l’oro ai mondiali studenteschi nel 1939. Quando ha ripreso le competizioni, è arrivato sesto alle Olimpiadi del 1948 e quarto agli europei del 1950. Ma a quel punto aveva già conosciuto Rosita e aveva anche iniziato una piccola produzione di indumenti sportivi, il nucleo di quell’attività che li porterà poi sulle vette della moda.
Ma Ottavio sportivo lo è rimasto sempre e, con l’età, si è dedicato ai lanci, partecipando perfino ai mondiali di giavellotto (per ‘under 90’, disse con autoironia solo pochi anni fa).
Agli esordi, la coppia formata da Tai e da Rosita, figlia di imprenditori tessili lombardi, aprì un laboratorio a Gallarate.
Il salto avvenne nel 1958, quando la Rinascente commissionò ai Missoni 500 abiti a righe. “Tentavamo di lavorare sul colore ma, con le macchine che avevamo allora, era difficile” ha ricordato Tai in seguito (Balthus lo definì “maestro del colore”).
Nel 1969 costruirono lo stabilimento e la casa di Sumirago, nel varesotto, dove ancora adesso la famiglia vive e lavora, perché i Missoni si considerano artigiani. Ora a guidare l’azienda sono i figli Angela, Vittorio e Luca e il colore è nel loro dna.
In famiglia raccontano di quando Diana Vreeland, potente direttore di Vogue America, vide la collezione e urlò: “Ma allora il colore esiste!” e poi li invitò negli Usa a farsi conoscere.
All’inizio degli anni 70 fu successo mondiale: arazzi coloratissimi, patchwork, righe e fiammati arcobaleno e il famoso ‘put together’, espressione con cui Ottavio spiegò agli americani che si trattava di ‘mettere insieme’ fantasie di punti e colori che mai nessuno avrebbe osato accostare, in un caleidoscopio di motivi e di tinte, sovrapponendo capi diversi con volumi a geometria variabile.
L’originalità e la riconoscibilità di questa moda ha portato Ottavio Missoni nei più importanti musei. Non si contano le mostre dedicate all’arte di Tai, di Rosita e della loro famiglia speciale: solo per citarne alcune, dalla retrospettiva del 1978 al Whitney Museum di New York per i primi 25 anni di carriera a quella di Tokyo, dalla ‘Missonologia’ della Permanente di Milano alla celebrazione del Victoria & Albert Museum di Londra per il mezzo secolo di attività.