Maggio è giunto al termine e purtroppo non possiamo dire lo stesso con la guerra che sta – giustamente – catalizzando l’attenzione di tutti. L’invio di armi o no, la possibilità di difendersi o meno è uno degli argomenti più dibattuti. Adesso sulla libertà di armarsi e difendersi, se ne parla in altri termini e contesti per via di un brutto episodio di crimine che sta rimbalzando sulle pagine di cronaca: la strage avvenuta il 24 maggio nella scuola elementare di Uvalde, in Texas, ad opera del 18enne, Salvador Ramos. Quel giorno il giovane killer ha impugnato le armi in suo possesso, fucili d’assalto del tipo AR-15 – che si era regalato in occasione dei suoi 18 anni – ha inviato qualche messaggio rivelatore ma criptato delle sue intenzioni sui social, e poi si è recato nella Robb Elementary School di Uvalde, una cittadina rurale di 15 mila abitanti, prevalentemente ispanici, a metà strada tra San Antonio e il confine messicano. Lì ha ucciso freddamente 19 bambini di età compresa tra i 9 e i 10 anni e due insegnanti. 21 vittime il totale della strage compiuta da un appena maggiorenne: si tratta della seconda sparatoria più sanguinosa nella storia d’America in una scuola, dopo il massacro di Sandy Hook del 2012, dove vi furono 26 morti. All’indomani dell’ennesima strage di innocenti, torna alla ribalta la spinosa vicenda dell’uso delle armi così spregiudicato in America, ma anche della facilità con cui ci si può armare, tanto che un neo 18enne è stato capace di farsi un proprio arsenale con cui ha poi compiuto il folle gesto. Adesso, mentre la ferita è ancora aperta e dolorante, in America si chiede un’azione forte sulle armi, affinché si impediscano stragi come quella appena avvenuta. È chiaro che l’acquisto così facilitato di armi da fuoco sia un incentivo non di poco a stragi di questo genere; è anche vero che le lobby produttrici americane delle armi hanno grandi interessi a non far frenare il mercato. Però bisogna considerare anche il fatto che le stesse lobby esistono nel resto del mondo, ma non riescono ad impedire i controlli e le leggi più restrittive esistenti.
Allora cosa c’è di diverso in America? C’è il fatto che possedere armi da fuoco fa parte della cultura storica della Nazione. Il secondo emendamento della Costituzione americana, infatti, dice che a nessuno deve essere impedito di possedere e portare armi perché ci si possa difendere. Il fatidico secondo emendamento americano che inneggia alla libertà di difesa personale anche attraverso armi da fuoco – secondo solo al diritto di parola e alla libertà di culto religioso – riflette una concezione che trova solide basi sui miti fondativi di tutta una Nazione, laddove il popolo, il privato, compartecipa alla difesa e alla libertà personale, ovvero non affida totalmente allo Stato la propria sorte. Dunque è una concezione culturale e profondamente storica difficile da sradicare dal popolo americano, anche se toccato da tragedie come quest’ultima. Gli americani crescono consci che sia reale la possibilità che da un momento all’altro qualcuno sfondi la porta di un’aula scolastica per scaricare la propria follia su degli innocenti. I bambini delle scuole americane fanno delle esercitazioni programmate mirate a mettersi in salvo di fronte atti di questo genere, il che mette in chiaro quanto siano assoggettati ad una tale tragica probabilità. Così non meraviglia più quando un bambino di soli 10 anni studente di una scuola elementare di Cape Coral, in Florida, viene arrestato dopo aver minacciato una sparatoria di massa tramite dei messaggini. Ammanettato e portato via in lacrime: “Non è il momento di agire come un piccolo delinquente, non è divertente. Questo bambino ha lanciato una falsa minaccia e ora ne sta pagando le vere conseguenze”, afferma lo sceriffo Carmine Marceno. Finalmente un intervento tempestivo della polizia americana… Piccolo criminale americano, che cresci con le guerre nel cuore, le esercitazioni a scuola e le stragi negli occhi, hai sbagliato: bisogna sparare proiettili, mai balle!
Redazione La Pagina