Tra gli orrori prodotti dalle varie guerre che ancora oggi insanguinano diverse parti del mondo, uno supera di gran lunga tutti gli altri fino ad essere definito, e a ragione, l’orrore per antonomasia: il reclutamento dei bambini-soldato. Nella Repubblica Democratica del Congo, in Sierra Leone, in Liberia, in Costa d’Avorio e in molti altri paesi segnati da interminabili conflitti interni, sono almeno 300 mila i ragazzi reclutati e spediti al fronte, vittime e carnefici di cruente guerre scatenate dai grandi e combattute dai piccoli.
Mentre i loro coetanei, in altre parti del mondo risparmiate dagli orrori della guerra, lasciano i giochi da bambini per passare agli ultramoderni videogiochi, dove le guerre si combattano per gioco attraverso i colorati tasti di un joystick, l’infanzia viene invece rubata ai bambini asiatici, africani, latinoamericani che a soli dieci, dodici, quattordici anni si ritrovano a combattere una guerra tutt’altro che virtuale, fatta di atrocità e morte, una guerra che non hanno scelto di fare e che li segnerà, in certi casi, ben oltre la fine delle battaglie che, loro malgrado, si trovano ad affrontare.Vittime di arruolamenti forzati, detenzioni illegali e sfruttamento sessuale, quello dei baby soldato rappresenta un fenomeno da anni in inarrestabile espansione.
Molti sono soldati a tutti gli effetti:combattono nei conflitti armati e vengono mandati avanti sui campi minati per aprire la strada all’esercito, mentre altri hanno ruoli diversi ma non per questo corrono meno rischi.
Un esercito armato di armi facili e leggere da maneggiare, (quasi come fossero armi giocattolo), fatto di ragazzi che non chiedono paga, più controllabili degli adulti, spesso rapiti, privati di istruzione e di cure mediche ed infine reclutati e usati come soldati, imbottiti di droghe e alcool e con un addestramento minimo, se non inesistente, mandati a combattere, pena la loro stessa vita. In alcuni casi si tratta anche di minori che si arruolano “volontariamente” per sopravvivere: bambini resi orfani dalla guerra, senza mezzi e in balia di sè stessi in paesi devastati da continui conflitti oppure ragazzi motivati ed istigati dal desiderio di vendicare le atrocità perpetrate contro i loro parenti o contro le loro comunità.
E’ l’Africa a detenere il triste primato dei bambini soldato, per il costante riesplodere di antichi conflitti, ma anche in altri continenti, come l’Asia, l’impiego dei baby soldato rappresenta un’allarmante realtà: in Afghanistan sono stati coinvolti nella guerra civile oltre centomila bambini.
E in Birmania la storia non è diversa, in quanto l’arruolamento forzato di ragazzi è una realtà sia per l’esercito di Rangoon che per i guerriglieri separatisti che combattono contro il governo centrale.
Ma anche il civilissimo occidente arma i minorenni: Canada, Stati Uniti, Australia e Gran Bretagna arruolano ragazzi non ancora diciottenni creando il paradosso secondo il quale persone non ancora in grado di esprimersi per decidere della vita politica del proprio paese, possono invece decidere di uccidere in nome del loro paese. Nella guerra del Golfo, nel ’91, la Gran Bretagna (dove il limite per l’arruolamento volontario è di 16 anni) inviò ben 381 soldati.
La memoria storica della nostra umanità, quella che dovrebbe servire da monito ed esempio per non ricommettere gli stessi errori, evidenzia ancora una volta il fallimento di un tempo trascorso senza insegnare nulla, senza che nessuno sia stato in grado di imparare da esso, se non cosa fare, almeno cosa non fare, e ci mostra quanto tutto questo sia radicato nel tempo: l’impiego dei bambini nei conflitti non è solo un orrore di questo secolo né una prerogativa dei paesi meno sviluppati o dei popoli primitivi. Dagli enfants perdus degli eserciti napoleonici fino agli Hiitlerjugend chiamati a difendere Berlino nella seconda guerra mondiale, passando per i “figli del reggimento” di Stalin, l’innocenza dei bambini ha sempre pagato un caro tributo alla follia dei grandi.
Isabella La Rocca