“Brics” non è sicuramente una parola nota ai più, ma dietro di essa ci sono cinque Paesi (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, le cui iniziali formano appunto l’acronimo Brics), tutti ad economie emergenti, che faranno parlare molto di sé in un futuro le cui basi economiche e strategiche stanno per essere collocate proprio in questi giorni con il quinto Summit che avviene a Durban, in Sudafrica.
Come si vede, si tratta di Paesi geograficamente distanti tra di loro, ma sono accomunati da obiettivi e interessi convergenti. In molti settori, specie quello tecnologico, non possono (ancora) competer con gli Usa, ma cercano tutti una loro via per lo sviluppo e la crescita fuori dagli schemi finora percorsi e soprattutto fuori dall’influenza americana. All’interno dei Brics un asse particolare si sta saldando tra la Russia e la Cina. Qualche anno fa, si parlava di un G2 tra Usa e Cina, che avrebbe rappresentato, su basi nuove e più pacifiche, quello che nella seconda metà del ‘900 era stato il duopolio Usa-Urss. Ebbene, il mondo dei prossimi decenni non vedrà come unici protagonisti gli Stati Uniti e la Cina, ma più soggetti: da una parte gli Usa (con un’Europa in affanno e senza solide strategie economiche, politiche e militari), dall’altra i Brics, appunto, che hanno già chiare e definite le loro strategie.
Xi Jinping, il nuovo astro cinese, prima del Summit ha fatto tappa a Mosca, prima capitale visitata, non senza una ragione precisa: la costruzione di “nuovi equilibri”. Essi poggiano sostanzialmente sulle risorse di ognuno dei cinque Paesi che dovranno essere il motore delle economie degli altri, creando un blocco economico che inevitabilmente si contrapporrà a quello guidato dagli Usa. I perni della strategia dei Brics e in modo particolare dell’asse Russia-Cina sono la creazione di una Banca per lo sviluppo finanziata con 10 miliardi di dollari da parte di ognuno dei Cinque, un Consiglio economico per guidarla e, in un futuro più o meno prossimo, la sostituzione del dollaro come valuta di scambi internazionali. Già tra la Cina e il Brasile è stato siglato un accordo che prevede la valuta cinese e brasiliana fino a 30 miliardi l’anno di scambi. Come si vede una nuova Banca Mondiale e un nuovo Fmi (Fondo monetario internazionale). Si spiegano così – e s’inquadrano in un disegno più chiaro – la divisione dell’emisfero centro-meridionale in zone d’influenza: l’Africa alla Cina, il Medio Oriente alla Russia. Di qui l’asse russo-cinese a difesa di Assad: scopi commerciali ma anche un’opposizione ai fondamentalisti islamici che lo sostituirebbero e che certamente sfuggirebbero alle strategie intraprese. Di qui anche l’Africa alla Cina, anche se, come ha precisato Xi Jinping, “non possiamo vivere imprigionati nel vecchio colonialismo”, ma su basi di parità. Si spiega così anche il voto russo-cinese a favore delle sanzioni contro la Corea del Nord, che rappresenta ormai con le sue chiusure e i suoi ritardi un ostacolo per la Cina, che prevede, evidentemente, che il regime nordcoreano cadrà a vantaggio della riunificazione sotto le insegne “occidentali” della Corea del Sud, zona d’influenza Usa.
I “Brics” rappresentano il 25% del Pil globale e il 40% della popolazione mondiale. Gli Usa si sono trasferiti nel Pacifico, in un ampio bacino che vede Paesi con il 60% della popolazione mondiale e con economie avanzate (Usa) ed emergenti (Brasile, appunto, ed altri Paesi dell’America centro-meridionale. Insomma, i Brics e gli Usa hanno interessi comuni che sono diversi e concorrenti nello stesso tempo. L’Occidente e i suoi valori sono sempre più rappresentati dagli Usa e sempre meno dall’Europa, che sembra chiudersi nel suo guscio, alla mercé degli altri, sia con la diminuzione dei bilanci militari (mentre i Brics li aumentano, anche notevolmente), sia con i problemi monetari che la stanno fiaccando e sia ancora con l’incapacità di fare ciò che stanno facendo Russia e Cina e che è stato fatto in passato, nell’immediato dopo guerra.