L’instabilità climatica minaccia la sicurezza alimentare
L’ultimo rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite parla chiaro: i sempre più diffusi eventi climatici estremi e la variabilità delle condizioni metereologiche che caratterizza le nostre stagioni incidono sempre più sulla sicurezza alimentare e sono ormai le principali cause dell’aumento della fame nel mondo, che lontana dall’essere sconfitta fa piuttosto registrare un significativo aumento. Si calcola infatti che nell’ultimo anno ben 821 milioni di persone hanno sofferto per la mancanza di cibo: facendo bene i conti si tratta di una persona su nove e dell’11% della popolazione mondiale.
A far registrare le condizioni peggiori è il continente africano dove oltre 256 milioni di persone (quasi il 21% della popolazione) non possono nutrirsi a sufficienza. Anche l’Asia fa registrare dati preoccupanti con circa 515 milioni di persone che patiscono la fame: anche se il tasso di denutrizione è più basso sulla popolazione totale (11.4%), si conferma il continente con il maggior numero di casi in assoluto.
A seguire in questa triste classifica il Sud America, con circa 40 milioni di persone denutrite (il 6% sul totale) e l’Oceania, con quasi 3 milioni (7% della popolazione). La situazione diventa ancora più triste se si considera che il numero dei bambini che non possono nutrirsi in maniera adeguata è altissimo: circa 151 milioni, più del 22% dei bambini del mondo, subiscono un arresto della crescita per denutrizione. Molte le cause cui imputare queste gravi realtà: la rapida crescita demografica, le guerre, l’instabilità politica e le forti fluttuazioni economiche sono tutti fattori chiave che mettono a repentaglio l’accesso al cibo specialmente in luoghi già fragili di per sè come l’Africa sub-Sahariana e il Sudest Asiatico.
Lo studio congiunto sullo Stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo cui, oltre l’Onu, hanno partecipato la Fao (Food and Agriculture Organization), l’Ifad (International Fund for Agricultural Development), il Wfp (World Food Programme), l’Unicef e l’Organizzazione mondiale della sanità contiene i dati raccolti negli anni passati e le stime relative al 2017, evidenzia però soprattutto il ruolo degli stravolgimenti climatici le cui ripercussioni sulla sicurezza alimentare riguardano diversi aspetti, dalla disponibilità di cibo alla possibilità di accedervi, fino alla stabilità delle risorse. Le conseguenze dell’innalzarsi eccessivo della temperatura e delle alluvioni sono ovviamente più gravi nelle regioni dove le infrastrutture e le attività produttive sono più vulnerabili dinanzi alle precipitazioni o alla siccità, così come nelle popolazioni che vivono prevalentemente di agricoltura.
Tra il 2011 e il 2016 gli squilibri climatici tra ondate di calore, siccità, piogge intense e discontinue in anticipo o in ritardo rispetto alla stagione hanno reso difficile assicurare raccolti regolari e sufficienti al sostentamento. Ciò ha portato ad un aumento dei prezzi con ricadute sul reddito familiare: via via, il trend di diminuzione della fame che aveva interessato l’Asia negli ultimi tempi ha iniziato a rallentare. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: sempre secondo i dati dell’Onu accanto agli 821 milioni di persone denutrite nel mondo (6 milioni in più rispetto allo scorso anno) ci sono 672 milioni di obesi, vittime di malnutrizione. Uno scenario tragico che vede sempre al centro il cibo, il modo in cui lo produciamo, lo consumiamo e lo sprechiamo. Secondo il Food sustainability index, ogni anno nel mondo si gettano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo e solo in Italia 145 kg pro capite, circa 4 volte la quantità necessaria a sfamare le persone denutrite nel mondo. Invertire questo trend con una ‘rivoluzione alimentare’ che porti ad una trasformazione dell’attuale sistema in un’ottica di sostenibilità è fondamentale anche in vista degli impegni che tutti i Paesi hanno preso affinchè si possano raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030.
“Dobbiamo agire rapidamente e su una più vasta scala per aumentare la resilienza e la capacità di adattamento dei sistemi alimentari, per contrastare la variabilità del clima e gli eventi estremi climatici”, è l’appello dell’Onu che sottolinea che per recuperare il tempo perduto in vista dell’obiettivo ‘Fame zero’ del 2030, è necessario sviluppare partenariati e finanziamenti pluriennali di grande ampiezza in favore di programmi di riduzione e gestione dei rischi derivanti dalle catastrofi e di adattamento ai cambiamenti climatici.