Il frutto tropicale che viene sempre più richiesto e apprezzato in cucina ha una filiera di produzione discutibile
Nutriente e ricco di vitamine, si adatta a tantissime ricette donando un gusto esotico anche a quelle più classiche ed è ormai presente, vista la forte richiesta, in tutti i negozi alimentari e grande distribuzione: è l’avocado, il frutto più versatile del momento.
Ma conosciamo i retroscena della filiera di produzione di questo alimento che dai tropici arriva sulle nostre tavole? La verità è che proprio questi paesi non erano pronti ad una così grande produzione e in Cile le coltivazioni di avocado accendono il campanello d’allarme per
l’ambiente. La motivazione la troviamo nella grande quantità di acqua di cui questa pianta necessita per crescere, acqua che viene tolta al fabbisogno quotidiano della popolazione. Servono 2000 litri di acqua per far crescere un 1 kg di
avocado e l’impatto ambientale comincia ad essere drammatico, soprattutto se pensiamo che la coltivazione intensiva di questi frutti sta invadendo il territorio cileno a discapito della vegetazione endemica naturale e terreni vergini. Dal sito Water Food Print Network si deduce anche un altro dato interessante: per ricavare un kg di arance basterebbe un quarto della quantità di acqua utilizzata per gli avocado, mentre per la
coltivazione di un kg di pomodori ad
dirittura un decimo. In questo modo, le riserve idriche locali sono a rischio anche per l’uso degli stessi cile
ni.
La richiesta del frutto tropicale è in forte crescita, esistono dei ristoranti, ad Amsterdam, dedicati solo alla cucina dell’avocado e questo boom sta provocando un aumento della produzione esponenziale con esportazioni decuplicate in pochi anni. Oltre all’impatto devastante ambientalistico, i contadini, a fronte di un ricavato monetario sempre più consistente, non si preoccupano dell’ecosostenibilità, peggiorando la situazione anche con lo smodato uso di prodotti chimici e fertilizzanti di scarsa qualità che inquinano le piantagioni.
Per questi paesi dell’aerea subtropicale come il Messico, la Colombia, l’Indonesia (ma anche la California produce la gran parte della percentuale richiesta negli Stati Uniti) il consumo smodato di riserve idriche, deforestazione, perdita della biodiversità e inquinamento sono diventate un problema nella coltivazione di questo super food ma, in verità, si riscontrano le stesse dinamiche anche per la coltivazione della quinoa in Perù richiesta nel mercato della nutrizione vegana.
A fronte di queste avvisaglie, c’è anche un’altra visione commerciale che proviene proprio dall’Italia e in particolare il complesso si trova alle pendici dell’Etna. Dal 2013, infatti, un’azienda agricola siciliana – Sicilia avocado -, ha cercato di creare una filiera corta ecosostenibile che rispetti sia il territorio sia le proprietà nutrizionali del prodotto, evitando l’uso di prodotti chimici nocivi per la salute. Si utilizzano le falde acquifere naturali dell’Etna che sfocerebbero solo in mare, con un grande risparmio idrico ed energetico. Una piccola realtà che ci può insegnare che non sempre i frutti della terra o l’oro verde in questione, sono ecosostenibili e che una scelta accurata di quello che mangiamo è il primo passo per dare il nostro contributo alla salvaguardia del pianeta che ci ospita.