Pubblichiamo l’interessante riflessione di una nostra lettrice, Haila Capovani, sul popolo curdo, il suo importante ruolo nella lotta contro lo Stato Islamico e le persecuzioni da parte della Turchia…
Il popolo senza nazione. Così vengono definiti i curdi, un popolo distribuito tra Turchia, Armenia, Siria, Iraq e Iran. Con circa 30 milioni di persone sono la più grande etnia senza Stato ed essi lottano da decenni affinché il Kurdistan sia uno Stato riconosciuto, con la sua forma di governo basata sul Confederalismo Democratico, una politica d’ispirazione marxista basata sugli ideali di democrazia, parità di classe e di genere, laicità, femminismo ed ecologismo.
I curdi hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo di fondamentale importanza nella lotta contro il cosiddetto Stato Islamico, a cui hanno sottratto diverse città di enorme importanza strategica, tra cui Kobane, che ha rappresentato una delle più cocenti sconfitte subite dall’IS e che è divenuta il simbolo della resistenza contro quest’ultimo. Proprio in questi mesi le Unità di Protezione Popolare curde YPG stanno portando avanti l’offensiva per la riconquista di Raqqa, l’autoproclamata capitale dello Stato Islamico. Nonostante il loro impegno, i loro successi e la loro importanza nella lotta al terrorismo, i curdi rimangono un popolo perseguitato e privato di voce soprattutto in Turchia, il paese in cui le discriminazioni nei loro confronti sono maggiormente violente.
Nel 2013 era iniziato un processo di pace tra le due parti, il quale prevedeva un dialogo e un confronto tra il presidente Erdogan e il leader del PKK Abdullah Öcalan. Questo processo di pace è però fallito nel 2015 e a partire da quel momento, sia i curdi turchi che quelli siriani hanno dovuto fare nuovamente i conti con la politica oppressiva della Turchia, politica che ha persino portato alla costruzione di un muro di separazione al confine con il Kurdistan siriano, impedendo in questo modo l’arrivo di aiuti umanitari urgenti nelle zone distrutte dai precedenti combattimenti contro lo Stato Islamico. Nel luglio del 2015 i curdi avevano iniziato a creare in alcune città.
Il governo turco è subito intervenuto con operazioni violente che hanno devastato il tessuto urbano di quelle aree. Da qui deriva il fallimento del processo di pace. Ad oggi, il conflitto tra il governo turco e i curdi ha causato migliaia di morti e circa novantamila profughi. Intere aree popolate dai curdi sono state isolate dall’approvvigionamento di acqua, cibo, elettricità e accesso ai servizi sanitari, centinaia di persone sono state arrestate e detenute e sono stati inviati diversi mezzi blindati al confine con la Siria con lo scopo di tenere sotto controllo i curdi siriani. I partiti di matrice curda sono vietati dalla Costituzione privando il popolo di una rappresentazione politica. Come se non bastasse, queste persecuzioni sono state estese ai curdi siriani e iracheni.
L’apice di questa insensata politica oppressiva è stato raggiunto lo scorso 25 aprile, quando alle 2:00 del mattino (ora locale) gli aerei bombardieri turchi hanno bombardato per più di due ore le postazioni e l’ufficio stampa dello YPG e dello YPJ (Unità di Protezione femminili) causando almeno 20 morti, tra cui 12 donne, e 18 feriti di cui due gravi. Questo attacco insensato, compiuto oltretutto su un suolo straniero, ha avuto come conseguenza quella di porre in svantaggio i combattenti curdi (i quali sono parte delle Syrian Democratic Forces) nei confronti dello Stato Islamico.
Il bombardamento può quindi essere considerato come un favore a quest’ultimo. Il popolo curdo subisce da parte della Turchia una politica di discriminazione razziale che non trova esempi in nessun’altra parte del mondo. Erdogan è infatti arrivato persino a negare l’identità stessa di questo popolo. La sua politica ha raggiunto livelli tali da indurre il Movimento della Società Democratica del Rojava (regione siriana del Kurdistan) “TEV DEM” a chiedere alle istituzioni internazionali di intervenire contro le pratiche disumane a cui la popolazione del Kurdistan occidentale è sottoposta.
La Turchia non è stata infatti capace di trattare la questione curda da un punto di vista politico e socio-economico e il popolo curdo ha dovuto assistere impotente alla sistematica cancellazione delle proprie radici culturali e linguistiche. Nonostante i numerosi appelli, le Nazioni Unite sono rimaste indifferenti anche davanti all’attacco dello scorso 25 aprile. L’Unione Europea tende ad ignorare gli scontri turco-curdi e le ingiustizie subite da quest’ultimi, in quanto è interessata a far rispettare l’intesa sui migranti del 18 marzo 2015 (che la Turchia minaccia altrimenti di annullare) con lo scopo di salvare il Trattato di Schengen e potenziare la lotta all’immigrazione irregolare fornendo in cambio aiuti economici alla Turchia.
Questi sarebbero dei buoni obbiettivi se non fosse che calpestano ancora una volta i diritti del popolo curdo, il quale chiede solo di poter finalmente godere di una propria autonomia e del tanto sostenuto diritto all’autodeterminazione di cui l’occidente si fa promotore.
Haila Capovani