Che l’Italia sia sempre stata, negli ultimi 30-40 anni, un Paese ricco, lo si è sempre intuito, ma la contraddittorietà dei dati rendeva difficile la dimostrazione. Che l’Italia sia stato e sia anche un Paese dove il lavoro c’è sempre stato, almeno nel periodo sopra considerato, ebbene, anche questo lo si è sempre intuito e lo si sa, ma è sempre stato difficile, di fronte a dati contraddittori e a lamentele diffuse, dimostrare il contrario. Che l’Italia sia un Paese con una imprenditorialità dinamica, è noto a tutti. Ora, però, di tutte queste supposizioni c’è anche la dimostrazione, perché i dati non solo parlano chiaro, sono anche confrontabili. Pietro Ichino, famoso giuslavorista e senatore Pd, spesso inascoltato nel suo partito, ha studiato i dati provenienti da nove regioni del centro nord – sono le regioni che li hanno elaborati e messi a disposizione – ed ha scoperto che nel 2010, cioè in piena crisi economica, in Italia ci sono stati ben 4 milioni di nuovi contratti di lavoro. Il lavoro, dice Ichino, in Italia non è vero che manca, il lavoro c’è e si vede. Sono dati inconfutabili. Nello stesso anno e nelle stesse regioni, anche se viene preso in considerazione soprattutto il Veneto, che ha fornito i dati più “completi ed analitici”, 4 italiani su 10 che hanno perso il lavoro, lo hanno ritrovato nel giro di tre mesi e 8 su 10 nel giro di un anno. Questi dati sono gli stessi di un altro studio approfondito della Banca d’Italia su dati Inps per il periodo 1998-2005 a livello nazionale: 8 italiani su 10 che hanno perso il lavoro, lo hanno ritrovato nel giro di un anno. Nel sud, dice Ichino, le cose non vanno in un modo diverso, vanno meno diversamente di quel che si pensi. Assodato che il lavoro c’è, è vero che il lavoro “ritrovato” è diventato più precario rispetto a prima. La conclusione di Ichino è che non è concepibile che si dia per scontata una prospettiva di anni ed anni di cassa integrazione per chi perde il lavoro. Bene, dunque, la proposta del governo di introdurre un’assicurazione contro la disoccupazione e di modificare l’articolo 18 che difende eccessivamente solo gli occupati e impedisce alle imprese di assumere date le rigidità e i vincoli contenuti finora nell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, pensa di introdurre delle sanzioni più severe contro gli evasori. Ecco quello che ha dichiarato: “Non può più essere considerata furbizia non pagare le tasse e essere considerato accettabile che chi ha uno stile di vita di buon livello non abbia poi una sua quota di partecipazione agli oneri pubblici”. A fronte di circa 2 milioni e 200 mila disoccupati, esiste un’area del disagio di circa 5-6 milioni di persone, che il ministro imputa agli evasori fiscali che impediscono l’abbassamento delle tasse e quindi una maggiore ridistribuzione della ricchezza. Da questi dati si comprende come la politica – e non solo -negli ultimi 40 anni abbia delapidato risorse importanti creando debito pubblico e frenando il dinamismo dell’economia. Appare così nella sua giusta luce l’affermazione del presidente Monti quando ha detto che gli aumenti e le tasse saranno anche un fatto di rozzezza, ma impediscono di fare la fine della Grecia e soprattutto quando dice (e spera) che dopo di lui i partiti avranno comportamenti più virtuosi. Ma – ed è questo il punto – dubitiamo seriamente che ciò avvenga. [email protected]