In sintesi, si può dire che è stata una settimana dura per il Pd e la coalizione che fa capo a Bersani, ma, pur tra alcune difficoltà e una giusta reazione, la vittoria è a portata di mano. Cominciamo con la vicenda Monte dei Paschi di Siena (Mps), una brutta storia di iniziative speculative, di fondi neri e d’interessi, dai più collegata al Pd anche se l’istituto è formalmente autonomo. Il fatto è che a designare i membri del cda è la giunta comunale di Siena, nelle mani del Pd da 67 anni, e si sa anche che i nomi sono sottoposti all’approvazione dei dirigenti del partito.
Bersani, per stoppare gl’inevitabili collegamenti, aveva detto che avrebbe “sbranato” chi avrebbe osato cavalcare il binomio Mps-Pd, ma in queste cose meglio sarebbe stato usare toni meno ultimativi, perché in piena campagna elettorale è chiaro che gli avversari calcano la mano e poi anche perché l’occasione è ghiotta per rendere pan per focaccia. I più duri, però, seppure con i dovuti raggiri di parole, quasi a indorare la pillola amara, sono stati Monti e Maroni. Il primo ha dichiarato che Mps è “legato” al Pd, salvo poi precisare che non ha parlato di rapporti interdipendenti tra Mps e Pd. In realtà, la polemica di Monti è stata assai mirata, sia perché un legame tra Mps e Pd, malgrado le smentite, esistono, come tutti sanno, sia perché Monti mira a guadagnare qualche voto in più. Sa benissimo che chi glieli può fornire sono il Pd e il Pdl, per cui è costretto ad attaccare ora l’uno ora l’altro. Con il Pdl gli attacchi sono stati diretti alla persona di Berlusconi, quando ha alluso alla possibilità di un’alleanza post elezioni solo a condizione che non ci sia Berlusconi. Con Bersani non può dire la stessa cosa, sia perché sa che il leader Pd vincerà, sia perché se dicesse una cosa simile riceverebbe risposte che farebbero male. L’altro attacco di Monti al Pd è stata la sua “paternità”. Ha, infatti, fatto risalire l’atto di nascita del partito al 1921, quando fu fondato il Pci. Si vede che il consigliere di Obama lo sta “educando” alla cattiveria ma anche alle scelte politiche. Così facendo, Monti vuole inviare un messaggio ai moderati che in piccola parte lo stanno abbandonando (a credere ai sondaggi e alle intenzioni di voto) e agli elettori ed ex elettori del Pdl, quasi a dire: fidatevi di noi, che siamo anticomunisti. Il rapporto tra Monti e Bersani è mantenuto attraverso le frecciate e le marce indietro.
Molto più diretto e tagliente è stato Maroni, quando senza mezzi termini ha accusato il capo dello Stato, che ha parlato di “prudenza” – rivolgendosi ai magistrati – nell’affrontare la vicenda Mps a causa delle implicazioni finanziarie ed economiche anche internazionali, di voler “coprire” i legami tra Mps e Pd per motivi elettorali. Né il capo dello Stato, né il Pd hanno reagito alla sortita di Maroni, e bene hanno fatto, perché in questi casi ogni azione comporta una reazione, all’infinito, per cui si finirebbe per fare il gioco dell’avversario. Più insidiosa, sempre sul piano elettorale, è la polemica a distanza tra il Pd e Ingroia. Ad avvantaggiarsi della vicenda del Mps non è il Pdl, come sembrerebbe normale, ma Rivoluzione civile di Antonio Ingroia, reduce tra l’altro di una polemica tra lui e Ilda boccassini. Dopo il fallimento della desistenza elettorale, Ingroia marcia spedito verso una corsa solitaria. Dai sondaggi viene accreditato intorno al 3,9, un risultato ambiguo, perché potrebbe anche non superare la soglia di sbarramento. Ebbene, Ingroia ha capito l’antifona e siccome è il diretto beneficiario dei “danni” subiti negli ultimi tempi dal Pd punta ancora di più a sfruttare con le polemiche la situazione.
Non è soltanto una questione di vantaggio per Ingroia, è anche uno svantaggio per il Pd, che in questo caso vedrebbe messo in questione la vittoria piena del Pd, cioè alla Camera e al Senato. Come si sa, il Senato potrebbe essere in bilico, dato che il premio di maggioranza avviene a livello regionale. Non vincere in alcune regioni, tipo la Sicilia, o in altre altrettanto popolose, magari per una manciata di voti, magari proprio quelli di Ingroia, sarebbe una jattura per il Pd, che comunque viene dato al di sotto del 30% mentre prima veniva dato al 32-33% e da altri anche al 35%. Non per nulla a cavalcare la polemica sul Monte dei Paschi di Siena è anche Di Pietro, che in questa campagna elettorale si sta prendendo la rivincita nei confronti dell’ex alleato che non lo ha voluto nel centrosinistra. Dunque, dicevamo, una settimana dura per il Pd, ma Bersani ha avuto un’idea vincente: quella di “chiamare” Renzi e farsi aiutare dal suo diretto antagonista nelle primarie per la candidatura a premier del centrosinistra. Renzi, ricordiamolo, è un Pd moderato, area cattolica, rottamatore della vecchia casta e innovatore. Di lui si diceva che poteva “pescare” nella riserva dei moderati, quella che fa capo a Monti con i suoi addentellarti Udc e Fli, e a Berlusconi. Ebbene, Renzi, ha smentito tutte le Cassandre che esistevano nel Pd stesso e che, in caso di sconfitta, lo davano per trasfuga. All’invito di Bersani, ha risposto “presente” ritenendolo un suo dovere di lealtà nei confronti del leader vincitore e del suo partito. Bell’esempio di lealtà e di coerenza, Renzi, doti che gli sono state subito riconosciute da Bersani stesso che ha detto che Renzi “farà molta strada”, alludendo a lui come a un personaggio destinato ad essere il futuro del Pd.
Ecco, il duo Bersani-Renzi è una risposta politicamente valida alle difficoltà e alla polemiche di questi giorni.